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Elettra nell'Idomeneo Re di Creta di Mozart: riprese classiche dal teatro sofocleo

Idomeneo: l’ultima delle opere giovanili, la prima di quelle mature

Idomeneo è l’opera che segna nell’attività creativa mozartiana un passaggio decisivo in vista della piena maturità drammaturgica. Come ha scritto Paumgartner, la si ritiene “un capolavoro di Mozart musicista, non ancora di Mozart operista.” Fino al 1780, al momento in cui ricevette la commissione per l’opera lirica in questione, Mozart considerava l’opera seria una vera preda per la sua creatività esplosiva e rivoluzionaria, un genere da sovvertire.

Possiamo dire subito con chiarezza che Idomeneo non è un’opera seria metastasiana, né mai accade che Mozart la denoti in tal modo nelle sue lettere. Il termine che egli usa è Grosse Oper, che trova un corrispettivo soddisfacente nella definizione di Dramma eroico, ancorché resti generico. Nasce perciò come genere ibrido, frutto della commistione di matrici francesi, italiane e tedesche. Il dotto principe Karl Theodor, il cui Antiquensaal era stato assai ammirato dal giovane Goethe perché contenente riproduzioni degli esempi più alti della statuaria greca, doveva avere apprezzato il fatto che il soggetto, legato anche ai cicli omerici, intersecasse altresì il mito principe del teatro settecentesco, quello di Agamennone e di Ifigenia, e accogliesse inoltre, grazie proprio alla presenza di Elettra, una serie di plateali motivi che portavano al cuore del teatro antico, delle sue convenzioni e delle sue radici.

E alle radici del mito, Mozart questo lo sa, poggia il ben noto, controverso rapporto tra uomo e dio, nonché il malanno che ancora affligge calando dall’alto si rovescia anche sui personaggi dell’opera lirica: in particolare, è sempre l’antica maledizione della razza a far sentire il suo eco gutturale, quella dei Pelopidi. Nella spaziosa pièce varesco – mozartiana, che ha il pregio di non appesantirsi di lungaggini epiche e antefatti, né di complicazioni mitologiche, ci si limita a trascegliere dal patrimonio di ἦθοι venerandi e immortali gli episodi più musicali e teatrali insieme, per non intaccare di incomprensibilità e complessità il nitore delle immagini musicali. “Nella mia opera c’è musica per ogni tipo di persone”, scriveva Wolfgang al padre che gli raccomandava di essere accessibile.
Quando Mozart si apprestò a comporre Idomeneo (K 366), l’opera seria quindi si muoveva ormai impacciata nei panni troppo inamidati e impettiti in un classicismo ormai spoglio, privo di credibile abilità a raffigurare l’allegorico che aveva caratterizzato il melodramma nel Seicento e nel primo Settecento. Era già avvenuto il processo completo di smaterializzazione e svuotamento dei personaggi: l’autonomia e il pathos di essi erano già stati subordinati, relegati a un piano di minor importanza rispetto alla globale resa dell’intreccio; insomma, i personaggi bastava che ricoprissero un ruolo che si risolveva in uno stereotipo ornamentale, una specie di involucro senza altre qualità da portare in scena.

La scelta di soggetti antichi favorì inoltre un atteggiamento statuario e fisso, molto lontano da quello che originariamente era stato concepito sulla scena tragica; attingere al teatro classico rischiava di dar vita a macchiette caricaturali dotate di una immeritata gestualità sottratta alla dimensione quotidiana, ordinaria o spontanea. Ciò non rendeva affatto giustizia all’universo antico cui anche Elettra apparteneva, sarebbe significato trasformarla e alterarla solo per il gusto dell’epoca, asservendola a vacuo accessorio ornamentale, a raffigurazione simbolica di ideali da emulare o da evitare, orpello estraneo alla realtà. Fu un leitmotiv proprio settecentesco e attinente all’opera seria quello di considerare come simbolo valido ad æternuum l’immagine dell’antichità, come se si potessero estrarre dalle sue cavità torme di exempla umani atti all’occorrenza. Ecco dove svaniva e crollava la magia dell’opera seria, prima che la avvicinasse Mozart: la musica celebrava asetticamente l’aspetto istituzionale e morale, adottando stereotipi ritmici ed espressivi, fallendo nel creare e ispirare spontaneità nell’azione da essa accompagnata.

Ma la musica di Mozart applicava un atteggiamento diverso: si contrapponeva alla simbologia precostituita, poiché si impegnava a conferire peso e voce all’elemento umano partendo da se stessa, con disinvoltura e immediatezza. Il messaggio sonoro coadiuvava la resa verosimile e tridimensionale del personaggio – e non del ruolo ritualizzato che doveva ricoprire nell’intreccio – che la cantava e che la viveva dall’interno; e affinché il messaggio sonoro fosse comprensibile anche sul palcoscenico, servivano situazioni e figure permeabili all’estro, alla cangiante fluidità della musica, e occorrevano personaggi che assumessero comportamenti e intrecciassero rapporti reciproci non predeterminati.

In Idomeneo si trovano senza complicazione differenziazione, ricchezza di espressione, multiformità dei caratteri e del decorso musicale, che superano abbondantemente il “chiaroscuro” richiesto dagli operisti dell’epoca.
Le convenzioni che venivano di regola richieste restano completamente assorbite dall’originalità dell’impronta creativa. Il quadro psicologico sconvolto dalla passione delineato dalla natura indiavolata di Elettra si dispiega nelle Arie grazie alla capacità della musica di ghermire e impreziosire i sentimenti, e di foggiare, non più semplicemente illustrare, gli stati d’animo attraverso le sue forme autonome.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Elettra nell'Idomeneo Re di Creta di Mozart: riprese classiche dal teatro sofocleo

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Informazioni tesi

  Autore: Beatrice Generali
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Filologia Classica e Italianistica
  Corso: Filologia Letteratura e Tradizione Classica
  Relatore: Renzo Tosi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 170

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