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Il linguaggio giuridico: analisi linguistica e difficoltà traduttive. Studio applicato alle sentenze della Corte dei Conti (2009 - 2013)

Ambiguità semantiche

Lo scambio tra linguaggio giuridico e lingua comune implica la presenza di termini non esclusivamente giuridici che lasciano un ampio margine di incertezza per quanto riguarda la possibilità di usarli. Veri e propri fraintendimenti tipici sono dovuti alla ricaduta del linguaggio del settore giuridico sulla lingua comune. Ad esempio, l'uso di ʻmultaʼ per ʻammendaʼ: sono due iponimi dell'iperonimo ʻpena pecuniariaʼ. Non si può fare a meno di usare il sostantivo alienazione che non può essere sostituito con il più semplice vendita, in quanto l’alienazione significa ʻvenditaʼ ma anche ʻdonazioneʼ. E non si può sostituire appropriazione indebita con furto, perché il furto è un reato più grave dell'appropriarsi di una cosa posseduta da altri (appropriazione indebita è appropriarsi di una cosa che già si possiede, per esempio un'auto a nolo che non si restituisce). Esistono, inoltre, molte nozioni giuridiche che si richiamano reciprocamente e di conseguenza danno origine a «un alto tasso di parole che nella lingua quotidiana tendono a essere usate come sinonimi, ma che nel linguaggio giuridico presentano sfumature semantiche [...] accentuate». Ad esempio, indulto va distinto da grazia e amnistia, coiponimi ma non sinonimi.

Vanno anche distinti concussione e corruzione, data la differenza sostanziale tra la concussione – dove il pubblico ufficiale abusa del proprio potere, impone la propria volontà, senza lasciare alcun margine decisionale al privato concusso – e la corruzione, che nasce da iniziativa altrui, l'accordo criminoso tra il privato e il pubblico ufficiale viene contrattato, e i due si trovano per così dire sullo stesso piano nella formazione dell'accordo, tant'è vero che nella corruzione viene punito anche il privato, nella concussione invece chi versa il denaro è la vittima. Altri esempi: la rapina e l’estorsione sono due delitti contro il patrimonio che presuppongono una qualche violenza o minaccia contro la persona, ma differiscono perché la rapina comporta la sottrazione di una cosa mobile altrui e l’estorsione implica che si costringa qualcuno a fare o a omettere qualcosa.

Nel diritto penale, a proposito degli elementi soggettivi del reato, il concetto di colpa si oppone a quello di dolo: la colpa, meno grave, presuppone che il soggetto non abbia volontà di commettere il fatto, imputabile quindi a sua disattenzione od omissione, mentre il dolo presuppone l'intenzione di delinquere. Ma colpa è anche termine del linguaggio comune, dove viene normalmente usato per indicare la piena dolosità di commettere qualcosa di censurabile: «è colpa tua! – Ma no, non l'ho fatto apposta!».
Nel codice penale sono previsti due diversi tipi di reato: il delitto, più grave, e la contravvenzione; e per ciascuno di essi sono stabilite diverse sanzioni: pene detentive (ergastolo, e reclusione per i delitti, arresto per le contravvenzioni) e pene pecuniarie (multa per i delitti e ammenda per le contravvenzioni). Di questi tecnicismi citati (delitto, contravvenzione, ergastolo, reclusione, arresto, multa, ammenda), l’unico a mantenere la propria precisione semantica passando dal linguaggio giuridico a quello corrente è ergastolo ‘pena detentiva a vita’. Gli altri, invece, si usano abitualmente in accezioni non tecniche nel linguaggio comune (delitto ha il valore, pregnante di ‘grave atto di violenza, che presuppone per lo più l’omicidio di qualcuno’), come variante di diverso registro stilistico (reclusione è avvertito come sinonimo più ricercato di arresto e lo stesso avviene per ammenda rispetto a multa).

Dal momento che la vaghezza è uno dei tratti caratteristici del lessico delle lingue naturali e quindi del lessico giuridico, i giuristi prestano particolare attenzione alle sfumature della semantica, sia in chiave ermeneutica, sia in chiave pragmatica. Il corpus esaminato offre molte distinzioni, soprattutto nella sede argomentativa delle sentenze, ad es. tra dolo e colpa grave:

Ricorre l’elemento soggettivo del dolo quando il soggetto volontariamente ha arrecato un vantaggio per sé ed un conseguente nocumento economico ingiusto per l’Erario, sussiste invece la colpa grave nell’ipotesi in cui il soggetto ha agito con palese negligenza, trascuratezza ed imperizia, in violazione delle regole di corretta amministrazione, con grave disobbedienza alla legge, ovverosia quando il comportamento è indiscutibilmente posto in essere con una macroscopica inosservanza di obblighi elementari.

Ricorrono anche distinzioni tra i vari significati che possono essere attribuiti, ad esempio, a un semplice incipit di un documento probatorio ʻʻsi prega di voler predisporre la procedura d'acquisto del servizio...ʼʼ, il quale potrebbe decidere la sorte dell'imputato: il patrono del convenuto pretendeva che si trattasse di un ʻʻsi prega diʼʼ che intendeva suggerire o consigliare, mentre il giudice l'ha interpretato diversamente, cioè come ʻrichiestaʼ che ha arrecato un danno all'erario:

In ordine poi alla possibilità che tale dicitura integri gli estremi di un “suggerimento” o di un “consiglio”, come voluto dalla difesa del Pettinao, la perentorietà dell’espressione porta a conclusioni diverse, a meno di voler attribuire all’incipit “si prega di voler predisporre” un valore diverso da quello che assume nell’usuale “frasario burocratico” ossia nient’altro che una particolare forma per introdurre una direttiva.

D'altro canto, la vaghezza della lingua del diritto è dovuta all'uso di termini astratti che rappresentano concetti di valore che implicano valutazioni di diverse situazioni di moralità. Ad esempio, buona fede, diligenza, omissione, buon costume. Questi tecnicismi hanno bisogno di ulteriori precisazioni e contestualizzazione:

È così ravvisabile la violazione dei canoni della ʻʻlealtàʼʼ e della ʻʻsalvaguardiaʼʼ insiti nel principio di buona fede che presiede all’esecuzione dei rapporti contrattuali, tra cui quello di lavoro, ex art. 1375 c.c., nonché la lesione dell’obbligo di diligenza statuito dall’art. 1176.

Un caso interessante è rinvenibile nella costituzione, dove l'uso di una espressione come buon costume fa riferimento alla cosiddetta moralità media, concetto ambiguo perché soggetto a situazioni variabili di tempo e di spazio:

Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
[...] Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.


Un altro esempio si ritrova nella definizione del tecnicismo premeditazione:
Costituisce una circostanza aggravante dei delitti di omicidio volontario e lesioni personali volontarie (artt. 577 n. 3, 585 c.p.). Per aversi premeditazione concorrono due elementi: un elemento cronologico, consistente in un apprezzabile intervallo di tempo tra l'insorgenza e l'attuazione del proposito criminoso, sufficiente a far desistere dal proposito criminoso un uomo di media moralità; un elemento ideologico, estrinsecantesi nel perdurare, nell'arco di tempo de quo, della risoluzione criminosa nell'animo dell'agente […].

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il linguaggio giuridico: analisi linguistica e difficoltà traduttive. Studio applicato alle sentenze della Corte dei Conti (2009 - 2013)

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Informazioni tesi

  Autore: Emad Rashed
  Tipo: Tesi di Dottorato
Dottorato in Dottorato di ricerca in Italianistica
Anno: 2015
Docente/Relatore: Pietro Trifone
Istituito da: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Dipartimento: Facoltà di Lettere e Filosofia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 427

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