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Il soggetto transizionale di G. Benedetti nella terapia non verbale delle psicosi e i suoi collegamenti con il pensiero freudiano

Il punto di vista neurofisiologico: i neuroni specchio

Ogni esperienza umana ha aspetti biologici, psicologici e sociali. Esperienze come ascoltare voci o intrattenere credenze insolite, prima descritte, sono il risultato di complesse interazioni tra le circostanze della vita, il modo in cui si osserva il mondo e si interpretano gli eventi, e la propria composizione biologica. Come con altre esperienze umane complesse, ci sono molte possibili "cause" della psicosi: il corredo biologico interagisce costantemente con le caratteristiche personali e con l’ambiente (British Psychological Society Division of Clinical Psychology, 2014). È interessante come un disturbo che influisce così profondamente sull'esperienza interiore di un individuo e sia associato ad un’ampia gamma di deficit, non coinvolga una sostanziale disfunzione generale del cervello, ma piuttosto anormalità in un numero relativamente piccolo di regioni cerebrali tra loro interconnesse: la corteccia prefrontale, l’amigdala, l’ippocampo, la corteccia cingolata anteriore e il talamo (Vukadinovic, 2012).

Abbiamo affermato che nella schizofrenia la persona vive esperienze confusionali riguardo la distinzione tra pensieri ed azioni commesse da lui stesso o dagli altri, arrivando addirittura a non cogliere la distinzione tra le due situazioni. Normalmente gli esseri umani riescono a comprendere le azioni degli altri individui grazie ad una classe di neuroni: i neuroni specchio. Scoperti nei primi anni Novanta del secolo scorso presso l’Università di Parma da un gruppo di scienziati guidato da Giacomo Rizzolatti, osservati per la prima volta nel cervello di macachi, principalmente localizzati nell’area frontale F5 della corteccia premotoria, successivamente sono stati riscontrati anche nel cervello umano, nelle regioni parieto-motorie. La loro peculiarità è di attivarsi sia quando si compie un’azione sia quando si osserva un'altra persona farne una simile. Come accade ciò? L’interpretazione maggiormente accreditata afferma che la loro attività genera una rappresentazione interna dell’azione osservata, si suppone per dare un senso a quest’ultima. Si parte dall’assunto per cui, quando si effettua (o si prepara) un'azione, l'individuo predice ("sa") le sue conseguenze; i neuroni specchio estendono questa conoscenza alle azioni eseguite dagli altri. Di queste ultime viene generata automaticamente una replica all’interno della corteccia, reclutando gli stessi circuiti attivi quando l'azione osservata viene generata internamente dall'osservatore (Rizzolatti & Gallese, 2003).

L’azione che stimola l’attivazione dei neuroni specchio nell’osservatore umano non viene imitata passivamente, ma in quanto avente un carattere intenzionale. Il circuito neuronale si attiva anche se lo spettatore non vede l’azione intenzionale direttamente, ma solo parzialmente, oppure può intuirla attraverso altre modalità sensoriali. Esso dunque ci permette, in maniera automatica e pre-riflessiva, di “metterci nei panni dell’altro”, simulandone l’esperienza provata e ripetendola dentro di noi. È questo un sistema altamente astratto, in quanto attivato da qualsiasi segnale dell’altro, anche minimo, che permette all’osservatore di ricostruire, a livello immaginativo, quale sia l’intenzionalità della persona osservata. Consente di collegare tutti i dati percettivi colti nell’interazione con l’altro per offrire, in modo immediato, il senso di quello che sta accadendo dentro di lui e per regolare quindi l’interazione reciproca e lo scambio affettivo. Per questo i neuroni specchio sono stati anche definiti “neuroni dell’empatia” (Cutolo, 2012).

Ci si è ragionevolmente chiesti se questo meccanismo possa generare confusioni tra azioni autogenerate e azioni compiute dagli altri, ma generalmente i segnali che precedono l'inizio dell'azione, così come i segnali propriocettivi in seguito all'esordio del movimento, possano permettere una facile discriminazione (Rizzolatti & Gallese, 2003). Se un individuo osserva una persona toccarne un’altra, i propri neuroni specchio si attivano come se fosse l’individuo stesso ad essere toccato. La scarica neuronale è però inibita dall’azione di altri neuroni, definiti canonici, i quali ricevono afferenze dai recettori sensoriali nelle estremità corporee trasmettenti l’informazione per cui la propria pelle non è stata toccata, non si è ricevuto alcuno stimolo tattile: la scarica dei neuroni specchio avviene perciò sottosoglia. Ciò significa che essa non raggiunge l’intensità che permetterebbe al soggetto di percepirla, di percepire quindi la sensazione di essere a sua volta toccato; da qui l’impossibilità di una confusione con l’altro (Peciccia, 2018). Questo almeno è ciò che accade in personalità sane. Nella schizofrenia, invece, essendo la persona sprovvista di un senso del sé coerente, la distinzione tra il sé e gli altri può svanire. La barriera tra sé e il mondo svanisce quando viene a mancare il sentimento dei propri confini, la pelle psichica derivante dalle proiezioni della propria superficie corporea: non vi è il segnale di feedback che impedisce l’esperienza conscia dell’essere toccati.

Un recente studio italiano (Ebisch, Salone, Ferri, & et. al, 2013) ha mirato ad indagare proprio questo vissuto attraverso l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI), concentrandosi in particolare sul ruolo delle regioni cerebrali coinvolte nell'elaborazione della stimolazione somatosensoriale in prima persona durante la percezione sociale e, conseguentemente, evidenziare le basi neurali dell’incapacità di stabilire un confine tra sé e l’altro. A questo scopo due gruppi di partecipanti sono stati sottoposti a scansione fMRI durante un’attività di percezione sociale: il primo gruppo era formato da 24 pazienti al primo episodio di schizofrenia (FES), abbinato ad un altro, di controllo, composto da 22 soggetti sani (HC). Gli stimoli del compito consistevano in 208 videoclip randomizzati, rappresentanti un evento tattile neutro (mano toccata da un ramo di palma) o condizioni sociali. In quest’ultime una mano femminile toccava il dorso di una maschile, o viceversa, a volte con un tocco neutro, altre con una carezza e altre ancora con uno schiaffo. A entrambi i gruppi era richiesto di memorizzare e poi riportare il numero di videoclip in cui non veniva mostrato nessun tocco alla fine di ogni sessione. Nel presente studio si è osservata un’attivazione nella corteccia premotoria ventrale (vPMC), in cui sono localizzati i neuroni specchio (ma il sistema mirroring si estende in più aree), per l'esperienza e l'osservazione del tocco; quest’area probabilmente riflette un monitoraggio/integrazione di informazioni multisensoriali, incluse auto-esperienze propriocettive, visive e tattili, relative al proprio corpo in diverse situazioni. Un adeguato auto-monitoraggio delle informazioni multisensoriali è cruciale per l'esperienza di un senso coerente di sé e dell'altro.

Dalla risonanza si è potuto osservare che l’area della corteccia premotoria si attivava molto meno nei pazienti schizofrenici rispetto a quelli del gruppo di controllo, e che l’attivazione era inversamente proporzionale alla gravità dei sintomi della schizofrenia, in particolare rispetto alla percezione del sé. La mancanza di attivazione in vPMC nel gruppo FES suggerirebbe dunque un'interruzione di una rappresentazione multisensoriale integrata del sé corporeo. Tale alterazione potrebbe ragionevolmente portare alla confusione dei confini di sé e alla confusione nell'interrelazione con gli altri. Una seconda regione del cervello in cui sono state identificate differenze tra il gruppo HC e FES è stata l’insula posteriore (pIC). Nel gruppo HC, la risposta in pIC è stata positivamente modulata, rispetto alla condizione basale, durante l'esperienza in prima persona del tatto, ma modulata negativamente (deattivata), durante l'osservazione del tocco in un altro individuo. La deattivazione in pIC nel gruppo HC era specifica per l'osservazione del tocco sociale affettivo. Al contrario, l'attivazione differenziale per le esperienze di contatto in prima persona e l'osservazione del tocco in un altro individuo era assente nel gruppo FES: non è stata trovata alcuna disattivazione in pIC durante l'osservazione del tocco tattile, sebbene siano stati trovati schemi di attivazione normali in pIC per le esperienze tattili in prima persona. Dunque l'evidenza del fMRI suggerisce che la pIC sia coinvolta nella percezione sociale.

Modelli di attivazione opposti per l'esperienza e l'osservazione del tatto suggeriscono che la pIC distingue tra sé e altre condizioni durante la percezione sociale quando sono implicate esperienze affettive. Un meccanismo inibitorio a livello della pIC durante la percezione sociale può facilitare l'osservatore a distinguere a chi appartiene l'esperienza tattile osservata. I risultati attuali gettano nuova luce sulla base corticale di come i disturbi di autoesperienza nella schizofrenia pervadano il dominio sociale in una fase relativamente precoce, descrivendo la percezione sociale disfunzionale nella schizofrenia come una compromissione complessa a più livelli di elaborazione neurale.Il sistema dei neuroni specchio può dunque supportare il riconoscimento dei confini del Sé e degli altri, capire le loro intenzioni, e la sua rottura può originare sintomi psicotici. Ad esempio, le persone affette da schizofrenia tendono a interpretare in modo errato le intenzioni altrui, il che può portare a percezioni errate di segnali sociali benigni come minacce (deliri paranoidi) o allucinazioni. Alcuni studi sulla funzione dei neuroni specchio nella schizofrenia, usando vari metodi di neuroimaging, hanno suggerito che le persone con schizofrenia presentano una ridotta attività dei neuroni specchio che può essere collegata ad una minore capacità di distinguere tra azioni di sé e degli altri o deficit a livello di empatia (McCormick, Brumm, Beadle, & et al., 2012).

Molti autori hanno infatti suggerito che il sistema dei neuroni specchio (MNS) possa essere la base neurobiologica per le più elevate abilità cognitive e umane come una comprensione dell'azione, della prospettiva e dell'empatia e che molto probabilmente rappresenta il substrato neurofisiologico della simulazione incarnata (Lucariello & Tafuri, 2019). La simulazione incarnata è un meccanismo funzionale su cui riposano tutti i possibili livelli di interazione interpersonale. Essa consiste in un processo automatico, inconscio e pre-riflessivo che è imprescindibilmente legato a come è fatto l’uomo e a come funziona nel mondo, consentendo la costruzione di un bagaglio comune di certezze implicite su sé stesso e, allo stesso tempo, sugli altri (Gallese, 2003). Si parla di simulazione incarnata perché oggi sappiamo che il sistema immaginativo, grazie al quale è possibile l’identificazione con la prospettiva dell’altro senza doverla sperimentare personalmente, è connesso mediante i neuroni specchio al sistema motorio. Questa connessione offre la stessa sensazione che viene attivata quando compiamo quella stessa azione o proviamo quella specifica emozione.

In altre parole, immaginare quell’azione è vivere quell’azione, anticipandola nel sistema motorio del proprio corpo (Cutolo, 2012). Vittorio Gallese ha avanzato l’ipotesi secondo la quale nella schizofrenia avverrebbe una “rottura” della simulazione incarnata, analoga a quella precedentemente esposta della scissione psicotica tra Sé separato e Sé simbiotico. Egli distingue due tipi di identità: una individuale (I), attraverso cui il soggetto si percepisce come delimitato e differenziato dagli altri, ed un’identità sociale (S), mediante la quale la persona conosce sé stesso nel rispecchiamento con gli altri. Il correlato neurofisiologico di quest’ultima sono, appunto, i neuroni specchio. Nelle persone sufficientemente sane le due identità funzionano in parallelo e sono tra loro integrate. La schizofrenia si caratterizza invece per una deintegrazione tra le due (Peciccia, 2016)
Queste considerazioni, in seguito alla scoperta dei neuroni specchio, offrono una nuova nozione, empiricamente fondata, di intersoggettività, connotata anzitutto come intercorporea: la mutua risonanza di comportamenti sensomotori intenzionalmente significativi (Gallese, 2016).

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Il soggetto transizionale di G. Benedetti nella terapia non verbale delle psicosi e i suoi collegamenti con il pensiero freudiano

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Informazioni tesi

  Autore: Linda Murro
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Filosofia e Scienze e Tecniche Psicologiche
  Corso: Psicologia
  Relatore: Maurizio Peciccia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 57

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Parole chiave

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