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Prospettive di crescita del Campionato di SuperLega. La necessità di un percorso virtuoso a tre protagonisti: pubblico, società e Lega Pallavolo Serie A

La trasformazione delle società sportive in brand di successo

Fino agli anni più recenti, le ricerche non hanno apprezzato il ruolo del consumatore nel processo di creazione del valore: si riteneva che il valore fosse creato singolarmente dalle organizzazioni (es. squadre, leghe, media, organizzatori di eventi, etc.) che combinavano le loro risorse. Borland (2006) affermava che la “produzione” di una competizione sportiva richiedesse quattro componenti, quali i giocatori, i club, una lega sportiva e gli impianti. Quest’affermazione rappresenta la prospettiva diffusa in letteratura e il principio di scambio sottostante i vari modelli presenti in letteratura: product for money.
Woratschek, Horbel e Popp (2014) si distanziano dal mainstream e contestano alle ricerche precedenti l’aver trascurato che le organizzazioni sportive creano valore congiuntamente con i vari clienti e stakeholder (es. tifosi locali e ospiti, personaggi vip, politici, giornalisti, etc.). Il valore, affermano gli studiosi, is created in networks of actors that include the customers. Ne consegue che le organizzazioni sportive non possiedano un controllo pieno sul “prodotto” e i clienti non “consumino” o “distruggano” beni. Piuttosto, loro co-creano valore con i loro comportamenti. Come risultato, le imprese possono fornire una piattaforma che permette a tutti i tipi di stakeholder di co-creare valore. Respinta la logica GDL (Good Dominant Logic) e ispirandosi alla logica SDL (Service Dominant Logic), si giunge all’elaborazione di un nuovo framework, definito come SVF (Sport Value Framework), basato su 10 proposizioni principali (fig.3.22).
Gummesson (2008) illustra che i clienti non possono essere interpretati come soggetti indipendenti. In particolare, negli eventi sportivi, i consumatori agiscono in gruppo e/o sono influenzati da altri. Il pubblico partecipa all’evento e contribuisce a creare una particolare atmosfera che può risultare particolarmente appetibile per gli investitori, come gli sponsor e i media. Inoltre, i clienti co-creano valore contribuendo alla promozione dell’evento sportivo, ad esempio tramite un passaparola positivo (Horbel, 2013). Infine, la presenza di altri clienti durante il consumo può influenzare la qualità percepita del servizio e, quindi, la percezione della proposta di valore (Uhrich, Benkenstein, 2010). Ne consegue che il tasso di riempimento dell’impianto incida sia sull’esperienza del consumatore, che sull’attrattività del club in questione e della relativa lega sportiva (Koenigstorfer, Groeppel-Klein, Kunkel, 2010).

Questa doverosa premessa, che evidenzia l’interrelazione tra i vari stakeholder delle organizzazioni sportive, permette di analizzare un fenomeno per anni trascurato dalla letteratura riguardante il management sportivo, cioè che la competizione dei club fornisce la piattaforma per l’interazione di più lati del mercato. Un mercato, per essere definito “multisided”, richiede l’esistenza di almeno due distinti gruppi di clienti (chiaramente distinguibili e circoscrivibili), connessi dagli effetti di rete indiretti, che non possono essere sufficientemente internalizzati (Evans, Schmalensee, 2007). Dal momento che i due gruppi si attraggono, è evidente che il valore della piattaforma dipende dalla loro numerosità ed è correlato positivamente con la capacità della stessa di collegare i diversi gruppi. Grazie agli effetti di rete, gli utenti, quando la piattaforma diventa dominante nel mercato, sono disposti a pagare di più per accedere ad un network più grande. Il non considerare il potenziale insito nelle piattaforme multisided, e nei relativi effetti di rete, rischia di condurre le organizzazioni ad assumere decisioni inappropriate in relazione alle dinamiche delle loro industrie (Eisenmann, Parker e Van Alstyne, 2009).
Dietl, Duschl, Franck e Lang (2009) sono stati tra i primi a importare il concetto di piattaforma nel mondo sportivo. Essi sottolineano l’importanza delle leghe sportive di agire come piattaforma, in modo da permettere l’interazione tra vari lati del mercato, quali i fan, gli sponsor e i media che domandano ciascuno uno specifico bene/servizio fornito dall’intermediario e la generazione di esternalità di rete. I tifosi domandano la competizione e l’esperienza di un evento live; gli sponsor, invece, un pubblico da poter servire con i loro prodotti/servizi; i media, infine un pubblico disponibile a pagare per utilizzare i loro servizi. L’interrelazione tra i vari elementi giustificherebbe, così, il rifiuto di uno sponsor, qualora possieda una cattiva reputazione che andrebbe a indurre esternalità negative verso gli altri lati del mercato.

Mentre l’analisi degli autori sopra citati ha come focus una lega sportiva, Budzinski e Satzer (2011) trasferiscono il concetto di piattaforma alle società sportive. Essi, prendendo come esempio una società di calcio della “Bundesliga” tedesca, spiegano che un club sportivo offre il proprio prodotto, ossia il gioco della sua squadra, a molteplici gruppi di clienti, in particolare:
* i tifosi, che acquistano i biglietti per assistere dal vivo a una partita;
* i media televisivi, che acquistano i diritti di trasmissione;
* gli sponsor, che acquistano spazi di pubblicità e di visibilità;
* le imprese o gli altri utilizzatori che richiedono l’impianto per fini diversi.

Gli autori, riflettendo sulla generazione degli effetti di rete attraverso l’interazione tra i vari soggetti, individuano alcune relazioni. In particolare, si ritiene opportuno menzionare quelle intercorse tra:
* tifosi - sponsor: gli sponsor preferiscono piattaforme che attraggono un alto numero di tifosi. Una più ampia partecipazione dei tifosi aumenta la partecipazione del gruppo degli sponsor (esternalità positive). Al contrario, un livello eccessivo di pubblicità può condurre a una riduzione dell’utilità dei tifosi. Le evidenze empiriche, infatti, indicano che i tifosi tendono a sviluppare una certa riluttanza quando l’intensità delle promozioni supera certi confini di tolleranza (Pyun, 2006);
* tifosi - media televisivi: la relazione tra i due gruppi è alquanto complessa. Da una parte l’aumento della copertura mediatica può spingere i tifosi (in particolare quelli meno affezionati) a non partecipare fisicamente all’evento, con un decremento della domanda per biglietti. Dall’altra, accresce l’interesse intorno all’evento, testimonia l’importanza della sfida e stimola i vari stakeholder dell’organizzazione a prenderne parte.

Cambiando prospettiva, la partecipazione dei tifosi produce esternalità positive verso i media. Gli autori affermano che le grandi folle negli stadi supportano la popolarità, migliorano l’esperienza della partita e concorrono a creare un'atmosfera che migliora anche la trasmissione; infatti, un’arena gremita di tifosi vivaci e colorati è sicuramente più attrattiva per i clienti televisivi rispetto a un’arena vuota;
* media televisivi - sponsor: gli sponsor tendono a investire maggiormente se i match disputati possono essere seguiti in televisione. Queste esternalità positive si rafforzano se le sfide e i suoi highliths, ci permettiamo di aggiungere, sono costantemente riprodotte in tv. Al contrario, i media televisivi possono essere danneggiati da un’eccessiva pubblicità all’interno dell’impianto, a causa dei cosiddetti effetti di di cannibalizzazione (esternalità negativa).

All’analisi svolta dai due autori, a cui va attribuito il merito di essere stati tra i primi a concepire i mercati sportivi come “multisided”, si ritiene opportuno compiere alcune precisazioni:
* tra i gruppi considerati, la categoria di clienti “media televisivi”, per una veduta più ampia e articolata del fenomeno, dovrebbe comprendere anche i restanti media, tradizionali e non, per il loro ruolo giocato non solo durante lo svolgimento dell’evento. Essi, infatti, non si limitano a trasmettere le immagini (tv) o a commentare (radio) o a riportare live la cronaca della sfida (giornali online), ma agiscono come catalizzatori di interesse anche nel pre-partita e nel post-gara, capaci di accrescere l’interesse sull’evento. Suscitare l’attenzione costante dei media nel corso della stagione è l’obiettivo che le organizzazioni sportive (club, leghe, tifoserie, etc.) devono cercare di raggiungere. A tal fine, è necessario alimentare negli stessi giornalisti la percezione dell’ufficio stampa quasi come di un loro “alleato”, creando le condizioni affinchè si sviluppi tra l’organizzazione e i media una sorta di partnership che consenta, a questi ultimi, di avere, in modo trasparente e professionale, l’accesso a contenuti interessanti e rilevanti ;
* occorre analizzare con cura la relazione tra tifosi e sponsor. L’affermazione secondo cui una più ampia partecipazione dei tifosi aumenta la partecipazione del gruppo degli sponsor è corretta. L’impresa sportiva, tuttavia, non può limitarsi ad affollare l’impianto per giustificare agli sponsor la bontà dell’investimento, ma deve dimostrare analiticamente che il pubblico presente abbia le caratteristiche ricercate dagli sponsor e ne sia attratto dai loro prodotti/servizi. Questo ragionamento si coniuga con le due problematiche espresse in precedenza, quali la limitatezza delle opportunità di sponsorizzazioni e una certa irritazione manifestata dal pubblico quando le promozioni superano determinate soglie psicologiche. Per ovviare a questi limiti delle sponsorizzazioni/pubblicità e instaurare e mantenere relazioni profittevoli con i vari investitori, le organizzazioni sportive devono considerarli come partner e fornire loro un’“esperienza” innovativa e soddisfacente attraverso:
- la predisposizione di un piano integrato di comunicazione;
- il coinvolgimento dei media, in modo da “eventizzare” la sponsorizzazione e caricarla di significati e occasioni di visibilità;
- l’attenzione per l’aspetto relazionale per tutta la durata dell’accordo (follow-up);
- il trasferimento di elementi originali in progetti seri e credibili.

E’ evidente che simili progetti sono portatori di benefici per le organizzazioni sportive che, legandosi in maniera coerente e innovativa ai vari marchi aziendali, possono conseguire opportunità rilevanti di monetizzazione, di “brand awareness” e di miglioramento dell’esperienza partita;

* per quanto riguarda la relazione tra i media e gli sponsor, se si considera una visione ampia del fenomeno, risulta chiaro che una ricchezza di sponsor non può costituire un limite alla presenza dei media. Gli sponsor, infatti, non solo contribuiscono ad accrescere l’interesse dell’evento e a giustificare l’investimento dei media, ma soprattutto possono essere stimolati a veicolare gli investimenti anche nei media, dal momento che raggiungono il medesimo pubblico. Il comportamento d’acquisto del cliente “media” è sostanzialmente razionale e basato sul confronto tra il prezzo, che deve pagare per acquisire lo spettacolo, e la quantità e qualità di audience, che può ricavare da tale spettacolo. Pertanto, le società sportive possono impegnarsi ad identificare le imprese interessate ad inserire spot all’interno della gara per garantire la trasmissione dell’evento. È indubbio che il successo di una gara/competizione è collegato con la risonanza che un media può assicurarvi, creando attesa, entusiasmo e discussioni tra le persone coinvolte;
* è necessario possedere una visione di insieme, enfatizzando l’interrelazione tra i vari elementi. Un aumento/diminuzione di una delle variabili esaminate ha riflessi sull’intero sistema. Diviene importante permettere una crescita condivisa e equilibrata tra le parti, prestando attenzione a ogni singolo lato del mercato e alla sua soddisfazione che, come visto, dipende anche dal ruolo assunto dagli altri soggetti. Per poter attrarre una tipologia specifica di clienti, le organizzazioni possono incentivare economicamente un lato del mercato;
* occorre considerare i cosiddetti effetti di rete diretti. Come gli sponsor possono sperimentare un certo svantaggio se sono presenti altri sponsor, innescando una certa competizione per la visibilità, così i tifosi attraggono a loro volta altri tifosi, generando una migliore atmosfera all’interno dell’impianto e accrescendo il valore della community societaria. A tal fine, le imprese sportive devono stimolare la socializzazione dei tifosi e la fedeltà. Uhrich (2014), rivendicando il concetto di customer-to-customer value cocreations, as customer benefit realized from the integration of resources through interactions with other customer, definisce le piattaforme di co-creazione di valore come i luoghi dove i clienti interagiscono a vicenda. Egli è consapevole che l’esperienza dei tifosi è plasmata non solo dalle interazioni con l’impresa, ma anche dalle loro conversazioni e relazioni sociali. Esse possono essere stabilite anche al di fuori dell’impianto, nelle loro vite di tutti i giorni. Infatti, i tifosi non si limitano a socializzare all’interno della struttura, ma interagiscono prima e dopo il match nei luoghi fisici (bar, ristoranti, posti di lavoro, mezzi pubblici, parchi, etc.) e virtuali (social network, forum, etc.), grazie alla proliferazione dei nuovi media e alla diffusione crescente dei dispositivi mobili (Crawford, 2014). Intraprendere azioni volte a facilitare queste forme di co-creazione può costituire una fonte di vantaggio competitivo per le imprese sportive;
* gli stessi impianti sportivi, come i social network, non solo sono canali di distribuzione (place) del prodotto sportivo, ma sono i mezzi che permettono alle società di agire come piattaforme e di offrire vere e proprie esperienze. I palasport sono i luoghi fisici per eccellenza in cui avviene lo spettacolo sportivo. Ogni spazio può essere reso di valore, ossia può essere impiegato per favorire l’incontro tra i vari soggetti. Il campo è il terreno di sfida delle squadre (e dell’“invasione” finale dei tifosi in cerca dei propri “idoli”), le “curve” delle tifoserie; il corner del merchandising permette alle società di esibire e vendere i propri prodotti ed incontrare il proprio pubblico; i maxischermi permettono di realizzare operazioni di marketing; inoltre, possono essere allestiti spazi dove gli sponsor offrono opportunità di visibilità e di interazione con il proprio personale e i propri prodotti. Una novità introdotta negli ultimi anni e che la pallavolo ha finalmente iniziato a recepire è costituita dalla realizzazione delle aree hospitality (e degli “sky box”), fondate sull’idea che la permanenza al palasport è vissuta come un momento di entertainment che vede la combinazione di spettacolo, eleganza e ospitalità. Cormio, affermando il ruolo proattivo delle aree hospitality come generatrici di relazioni empatiche, sostiene che, attraverso un lavoro di qualità nell’ambito delle pubbliche relazioni, le società possono operare su due distinti fronti:
- nell’ambito del B to B, le società possono utilizzare questo strumento non solo per attivare ed evolvere relazioni con gli investitori (attuali e potenziali) di tipo one to one, ma anche per favorire interessanti opportunità di network tra loro;
- nell’ambito del B to C, le aree hospitality possono essere utilizzate non solo per promuovere la propria immagine agli stakeholder (media, vip, istituzioni, etc.), ma anche per garantire una vera e propria esperienza a quella nicchia di pubblico, disposta a spendere una cifra maggiore per ottenere in cambio benefici superiori.

La sfida diviene quella di trasformare l’impianto (centro di costo) in un asset strategico per l’impresa sportiva, al fine di proporre ai clienti-tifosi esperienze sempre più avvolgenti, grazie alle interazioni tra i vari stakeholder dell’evento. La “smart arena” è un ambiente estremamente attivo, capace di raccogliere dati e fornire informazioni chiave per l’esperienza del cliente (ruolo di acceleratore delle percezioni dell’evento sportivo) e una conseguente espansione dei ricavi. Per le società ne consegue la necessità di una gestione autonoma dell’impianto.
Le società, caratterizzandosi come piattaforme, riuniscono produttori e consumatori (co-produttori) in scambi ad alto valore aggiunto. I loro asset principali sono le informazioni e le interazioni che, combinate insieme, costituiscono la fonte del valore che creano e del loro vantaggio competitivo. Il passaggio a una concezione delle società come piattaforme implica tre cambiamenti principali (Van Alstyne, Parker, Choudary, 2016):

* dal controllo delle risorse all’orchestrazione delle risorse: gli asset da imitare diventano la comunità e le risorse che possiedono e mettono a disposizione i suoi membri. Lo sforzo principale per le società diviene il raggiungimento della fedeltà e del commitment da parte dei propri utenti;
* dall’ottimizzazione interna all’interazione esterna: il valore viene creato tramite l’interazione tra produttori e consumatori. L’enfasi si sposta dall’imposizione dei processi alla persuasione dei partecipanti e la governance dell’ecosistema diviene una competenza imprescindibile;
* dalla focalizzazione sul valore per il cliente alla focalizzazione sul valore per l’ecosistema: le piattaforme mirano a massimizzare il valore totale di un ecosistema in espansione, in un processo circolare, iterativo e guidato dal feedback. Comprendere quando le forze esterne potrebbero aggiungere o togliere valore in un ecosistema è centrale per la gestione delle piattaforme.

Quando le imprese si caratterizzano come piattaforme, monitorare e migliorare la performance delle interazioni critiche diviene fondamentale. Tra gli indicatori da tenere sotto controllo, si evidenziano (Van Alstyne, Parker, Choudary, 2016):
* il coinvolgimento: le piattaforme in buona salute rilevano la partecipazione di membri dell’ecosistema che rafforza gli effetti network (es. la condivisione di contenuti);
* la qualità della corrispondenza: una scarsa corrispondenza tra i bisogni degli utilizzatori e i bisogni dei produttori indebolisce gli effetti network;
* gli effetti network e il valore finanziario delle proprie comunità: appare evidente l’importanza dell’organizzazione di possedere una reputazione positiva, imprescindibile per coinvolgere nuovi membri nell’organizzazione.

Dal momento che il brand è una questione di organizzazione di processi e relazioni sociali (Arvidsson, 2010), la sua valorizzazione diviene il punto di riferimento verso cui coinvolgere tutti gli sforzi dell’organizzazione, l’origine e il fine dell’interesse dei propri stakeholder. Il processo di co-creazione del valore del brand è, come affermano Merz e Vargo (2009), a continuous, social, and highly dynamic and interactive process between the firm, the brand,
and all stakeholders. Trasformare un marchio in una marca significa trasmettere dei valori emotivi e facilitare la comunicazione, differenziandosi dai concorrenti. Se il marchio identifica una proprietà e rende riconoscibile un prodotto o un’azienda, il brand, essendo capace di fornire esperienze uniche, è capace di coinvolgere le persone, di renderle fedeli.

Questo è possibile se le società del Campionato innovano i propri modelli di business, prestando particolare attenzione alla creazione del valore, che non può avvenire più esclusivamente all’interno dell’azienda, ma che diviene un processo condiviso e interattivo tra i soggetti dell’ecosistema. La linea d’azione strategica è la riconfigurazione dei ruoli e dei rapporti all’interno di questa costellazione di attori al fine di mobilitare la creazione del valore in nuove forme e da parte di nuovi soggetti.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Prospettive di crescita del Campionato di SuperLega. La necessità di un percorso virtuoso a tre protagonisti: pubblico, società e Lega Pallavolo Serie A

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Informazioni tesi

  Autore: Giacomo Andreani
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Trento
  Facoltà: Economia
  Corso: Management
  Relatore: Umberto Martini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 173

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