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La storia delle donne e di genere nella rivista «Quaderni storici» (1979 – 2014)

Parto e maternità: momenti della biografia femminile nel n. 44 di «Quaderni storici»

Dopo essere entrata in «Quaderni storici», la storia delle donne costituiva un ulteriore tassello per una storia sociale avanzata e per l’apertura ad una nuova prospettiva da parte di una rivista governata da un comitato editoriale interamente maschile. Infatti, il tema del già molte volte ricordato Parto e maternità: momenti della biografia femminile curato da Luisa Accati, Vanessa Maher e Gianna Pomata, era la storia delle donne con riferimento a momenti specifici delle biografie femminili.
Nell'introduzione Luisa Accati spiega l'importanza della soggettività dello studioso la cui formazione interviene a modificare i risultati della ricerca diventandone un dato nuovo. Da qui le scienze sociali iniziano a rivalutare quelle variabili secondarie a lungo trascurate in una tradizione che ha osservato e studiato le donne in complementarietà con gli uomini così da disporre di un "storia delle donne pallida ombra degli uomini". Le battaglie femministe propongono invece l'osservazione della storia e delle fonti basata sulla distinzione di genere socialmente e culturalmente costruito dal momento che "lo storicismo non serve a una storia, quella delle donne, che procede con tempi diversi proprio perché non può sempre coincidere con la teleologia dello sviluppo della "storia universale, in realtà maschile".

Luisa Accati a tal proposito scriveva: «La formazione dello studioso - la cultura moderna se ne dichiara ben consapevole - interviene a modificare i risultati della ricerca. [...] Non è indifferente nulla di ciò che è il ricercatore: gli elementi della sua acculturazione spiegano parte dei risultati ottenuti, sono parte della ricerca stessa [...] Tutte queste considerazioni ci hanno spinto a proporre a “Quaderni storici” delle analisi che avessero, sia come oggetto che come soggetto, l'esperienza femminile: interrogativi che le ricercatrici ponevano a sè stesse e alle altre donne. [...]. Per superare le difficoltà di una simile prospettiva gli strumenti possibili son la comparazione e l'analogia. La separazione uomini-donne ha carattere universale, il problema si pone dunque in ogni tempo e in ogni luogo e solo la ricostruzione microanalitica di casi specifici, senza limitazioni né di tempo né di spazio, consente di identificare le costanti culturali e sociali di questa separazione strutturale. Il numero intreccia intenzionalmente contributi storici e contributi antropologici a partire dalla nozione di storia delle donne come “questione di confine».
Per Cesarina Casanova, a molti anni di distanza, la pubblicazione di questo numero sancì il momento in cui la declinazione della storia al femminile si impose con forza in «Quaderni Storici» ritenendo provocatori sia il tema trattato che l'immagine della copertina che ritrae un uomo barbuto che porge il seno ad un bambino che tiene tra le braccia. Questo numero rompe gli schemi e le convenzioni accademiche suscitando sconcerto, secondo Casanova, che afferma che «questo mettersi a confronto con la storiografia ufficiale sarebbe stato pagato da molte con un rallentamento della carriera e con una connotazione dispregiativa da parte maschile».

In modo simile Raffaella Sarti lo considera la prima presa di posizione “non separatista”, ovvero le modalità secondo le quali la storiografia europea si è sviluppata come disciplina costruendo il proprio potere e la propria identità su cattedre, riviste, evidenti gerarchie nel reclutamento e sul riconoscimento pubblico della comunità accademica. Nel processo di separazione e di differenziazione la nuova disciplina ha guardato a temi quali lo Stato, la nazione, la guerra, la diplomazia, dai quali il sociale, il quotidiano e il domestico erano esclusi. Nasceva così una separazione originaria tra la storiografia accademica e quei terreni che più facilmente avrebbero potuto suggerire una riflessione sull’esperienza delle donne. La storia sociale e la storia della società hanno recuperato con difficoltà i soggetti che ne stavano ai margini, ma tra essi le donne sono state le ultime a diventare oggetto di interrogazione autonoma, e il genere ha cominciato soltanto dagli anni Settanta e Ottanta del Novecento ad acquisire un proprio spazio specifico come categoria storiografica. Angela Groppi sostiene che il separatismo si sia rivelata un’arma a doppio taglio: «concepito come strumento di sfida alla disciplina e di una costruzione di solidarietà intellettuale fra donne si era trasformato in un limite ontologico … man mano che si aprivano varchi di interesse tra gli storici maschi» importante nel territorio della storiografia, a proposito del desiderio e del rifiuto di maternità trattato da alcuni percorsi della storiografia delle donne e dell'identità di genere proprio a partire da questo numero.

I saggi raccolti analizzano il controllo, necessario per la pericolosità che veniva attribuita al corpo femminile, esercitato sulle donne durante il parto dalle donne stesse, dai membri di una comunità, dalle istituzioni come gli ospedali e i brefotrofi e dalla famiglia d’origine.
Allo stesso modo, la riproduzione e l’onore femminile erano soggette al controllo sociale; Sandra Cavallo e Simona Cerutti conducono un’analisi sulla natura dell’onore femminile come oggetto di scambio nella relazione sessuale uomo-donna in una società di Antico Regime. Reinterpretando le fonti delle cause matrimoniali tra il XVII e la seconda metà del XVIII, con la prevalenza di promesse di matrimonio disattese, viene esaminato l’atteggiamento sociale e istituzionale nei confronti delle relazioni e della maternità extranuziali, la natura della transazione uomo-donna dal rapporto amoroso alla pratica sessuale e le singole vicende in rapporto alle reti sociali in cui i protagonisti erano inseriti.
Nella società piemontese sei-settecentesca l’onore femminile assume un carattere materiale: la donna impegna nella relazione la sua sessualità ottenendo dall’uomo, attraverso la promessa di matrimonio, la restituzione dell’onore stesso e la sua protezione di cui le donne necessitavano; infatti la donna nubile era continuamente sottoposta ad attacchi esterni che potevano ledere il suo onore ma tramite il rapporto sessuale l’uomo assumeva su di se l’onore femminile e tramite la promessa di matrimonio diventava tutore, facendosi carico di ogni responsabilità nei suoi confronti.
Così veniva stabilito il dominio maschile sul potere riproduttivo femminile al fine di assicurare la garanzia della paternità, di cui durante tutto il Seicento sarà il padre a farsene carico.
Anche il parto e il concepimento sono soggetti al controllo sociale da parte del gruppo di parentela in una comunità nell’area Sherbro sulle coste della Sierra Leone studiata da Carol P. Maccormack in un saggio antropologico di taglio comparativo che dimostra che nelle società umane, prescindendo dall’aerea geografica o dalla cultura specifica, le fanciulle diventano donne secondo processi messi in atto culturalmente e socialmente tramite l’insegnamento di abilità, l’istruzione e i riti di iniziazione.

Questa società, più che al modello di predominio maschile e di dipendenza femminile, è vicino al modello di interdipendenza uomo-donna, infatti sia la capacità di produzione di beni e servizi sia la capacità di riproduzione fisica sono pubblicamente riconosciute e il capitale prodotto dalle donne viene controllato, investito e gestito dalle donne stesse al pari degli uomini. Ciò non vuol dire che siamo di fronte ad una società matriarcale ma che i ruoli di potere, seppur detenuti prevalentemente dagli uomini, non sono preclusi alla partecipazione femminile, qualora le donne lo volessero.
Lo status sociale si fonda su alcuni elementi, ovvero l’età, la condizione sociale del proprio gruppo di discendenza (dalla raccolta delle fonti orali si nota che un ottavo delle figure storiche fondatrici dei gruppi di discendenza furono donne) e le qualità personali. A differenza del sistema dotale europeo, in cui la donna viene vissuta come un fardello da parte del nucleo familiare natio che dovrà assicurare la dote alla famiglia del futuro sposo per compensare il fatto che si prenderà cura di lei, nella società Sherbro le donne sono viste come risorse e come fonti di ricchezza, di fertilità e dotate di capacità riproduttive. Quindi è la famiglia dello sposo a donare “la ricchezza della sposa” alla famiglia della giovane donna.
Dopo il matrimonio le donne europee indeboliscono le reti di relazioni con la famiglia d’origine, entrando sotto il controllo maritale a differenza della comunità Sherbro dove, pur spostando la propria abitazione dal villaggio d’origine a quello del marito, mantengono la propria autonomia intervenendo nella sfera pubblica in difesa dei diritti delle donne. Per le giovani donne l’iniziazione Sande ad opera delle donne più anziane costituisce uno dei momenti più importanti e significativi della loro vita; durante questi rituali avviene la clitoridectomia, che simboleggia insieme al parto il momento di transizione allo status di donna adulta e il rito dell’ingrassamento sinonimo di prosperità, salute e fertilità in opposizione alla magrezza che rimanda all’idea di un utero arido e sterile.
La comunità prescriveva alle donne incinte l’osservanza di regole alimentari e comportamentali fino al momento del parto che veniva presenziato dalle donne anziane Sande e dalle levatrici che detenevano un potere ed un’autorità socialmente riconosciuti e nei confronti delle quali i medici di formazione occidentale hanno nutrito indifferenza o talvolta ostilità.
L’attenzione attribuita al momento del parto e della nascita ha attraversato trasversalmente i secoli e le società concentrandosi nel Quattrocento e nel Cinquecento sui parti mostruosi, sul comportamento dei genitori e degli assistenti al momento della nascita e sulle cause del concepimento anomalo.
Ottavia Niccoli svolge l’analisi di un testo scritto a Venezia nel 1560 che dedica l’ottavo capitolo ai “parti mostruosi” nel quale la creatura mostruosa era considerata il segno dell’ira divina e preannuncio di catastrofi. Infatti le levatrici li uccidevano qualora non fossero già morti naturalmente - num liceat occidere monstra – perché non era ritenuto opportuno battezzare creature “non umane”. In nessun caso tra quelli trattati si fa cenno alla reazione delle madri di fronte alle uccisioni dei neonati, il che denuncia la totale assenza della considerazione in cui la scienza medica teneva la donna e i suoi problemi non strettamente fisiologici. Il corpo femminile era oggetto di indagine ma i riflessi psicologici delle funzioni del corpo venivano del tutto ignorate. L’interesse si concentrava sulle cause e sui modi del concepimento dei mostri, individuate nell’eccesso o nella scarsezza del seme maschile o del menstruum femminile che concorrevano alla procreazione, nei rapporti sessuali che trasgredivano l’etica sociale a favore dell’eccessiva ricerca del piacere e l’accoppiamento durante il ciclo mestruale visto come un rapporto dannoso. Lo stereotipo del senso comune portava a credere che a contatto con una donna mestruata i fiori sarebbero seccati, la birra si sarebbe inacidita e le corde degli strumenti si sarebbero spezzate, fino ad arrivare, in alcune culture, all’obbligo di reclusione. Nel Medioevo si riteneva che la donna mestruata facesse ammalare di lebbra, concepita in quel periodo come il pericolo maggiore, l’uomo che fosse entrato in contatto con lei.

Nel Cinquecento, come già precedentemente detto, viene introdotta la credenza che il concepimento mestruale fosse la causa dei parti mostruosi, non come dato folklorico immemoriale, ma come fatto storico ben preciso generato da fattori culturali e religiosi diversi che troviamo argomentati nelle grandi trattazioni teratologiche spesso legate alla discussione ostetrica ed embriologica, ovvero scritti di ginecologi e di medici.
Il parto comporta un problema teologico-giuridico cioè il dilemma se battezzare il mostro o ucciderlo; in questo periodo le edizioni della Sacra Scrittura si fanno innumerevoli in Europa e la morale sessuale si irrigidisce.
Nel Seicento con le nuove scoperte scientifiche il rapporto tra menstruum e monstruum sparisce, almeno nella cultura medica, ma come superstizione popolare rimane il modo di concepire la donna nelle sue funzioni genitali come fonte di impurità e corruzione.
Il momento del parto può essere anche un momento di verifica dei conflitti tra le donne all’interno delle reti familiari; Flaviana Zanolla tramite le biografie femminili risalenti ai primi anni del Novecento ripercorre i rapporti, le tensioni ed i conflitti generati tra le donne delle famiglie allargate di fittavoli in una comunità della bassa pianura friulana all’inizio del Novecento.

L’articolo studia le autobiografie di donne anziane, mogli di fittavoli (nate tra il 1895 e il 1900) facendo uso della storia orale, l’autrice trova due momenti nella loro storia e due punti di vista da cui studiarlo: la narrazione delle intervistate usa stereotipi e particolari, non autentici ed elementi che dipendono dalla profondità della relazione tra l’intervistato e l’intervistatore e i resoconti forniscono un’immagine degli equilibri e dei conflitti all’interno della famiglia così come sono visti e vissuti dalle donne.
[...]

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La storia delle donne e di genere nella rivista «Quaderni storici» (1979 – 2014)

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Informazioni tesi

  Autore: Martina Mercanti
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Palermo
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Ida Fazio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 139

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