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L'intervento militare russo nella crisi siriana: profili di diritto internazionale

Le evoluzioni della crisi siriana tra affermazione e declino dello Stato islamico ed interventi militari stranieri

Il termine guerra civile è stato utilizzato all’interno del contesto siriano nel momento in cui le forze sul campo, in linea teorica aventi lo stesso obiettivo quale il rovesciamento del governo baathista, iniziarono a fronteggiarsi tra di loro. Si era giunti, in concreto, ad una situazione di tutti contro tutti che, naturalmente, non fece altro che indebolire lo schieramento antigovernativo ed aiutare quello lealista nella riconquista delle città occupate dai ribelli.
La comparsa dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, meglio noto con l’acronimo di Isis, ha di fatto cambiato lo scenario. Prefissatosi l’obiettivo della ricostruzione del Califfato islamico, esso divenne la reale forza in contrapposizione all’esercito governativo, coalizzandosi – solo inizialmente – con al-Nusra, ed andando a prendere successivamente il posto dell’Fsa nella lotta ad Assad. L’Esercito Siriano Libero, infatti, non riuscì ad opporsi all’avanzata dell’Isis pur essendo appoggiata dai Paesi occidentali, in primis Stati Uniti, e da Turchia ed Arabia Saudita. Anzi, concessero ai militanti moderni mezzi militari fornitigli dagli USA. Delle relazioni di quest’ultimi con gli estremisti dell’Isis se ne è parlato e discusso a lungo. Molti tendono a supportare la tesi che gli Stati Uniti abbiano utilizzato, nel corso della loro storia, gruppi terroristici per soddisfare i propri interessi nel Medio Oriente, come sostenuto dallo stesso ex Segretario di Stato Hilary Cinton, quando dichiarò apertamente il rapporto tra USA e gruppi terroristici per evitare un eventuale dominio sovietico in quella zona di terra. Anche il vice Primo Ministro iracheno Bahaa al-Araji, quattro anni fa, insinuò accuse contro la Cia riguardo la creazione di Daesh (termine con il quale viene abbreviato nella lingua araba l’Isis). Quel che è certo è che l’Isis divenne il nemico comune da combattere.

Collocare l’Isis all’interno del diritto internazionale non è cosa facile. Non sarebbe corretto caratterizzarlo come un movimento di liberazione nazionale né esclusivamente come un tipico movimento insurrezionale o terroristico, pur facendo propri elementi sia dell’uno che dell’altro. Forse, sarebbe più giusto classificarlo come un ente terroristico moderno, per citare Pustorino in Movimenti insurrezionali e diritto internazionale. A differenza dei movimenti insurrezionali terroristici che siamo abituati a conoscere, formazioni come l’Isis operano a livello internazionale, non fermandosi al rovesciamento governativo interno ed affermando la propria figura. “Si tratta quindi di un fenomeno insurrezionale sui generis, che non si contrappone al governo al potere di un singolo Stato, ma ai governi di più Stati al fine di formare un nuovo Stato islamico e in particolare un califfato”. “Un ulteriore elemento di particolarità di questo recente fenomeno insurrezionale”, continua Pustorino, “è dato dal fatto che esso prolifera soprattutto sul territorio di failed States o comunque di Stati che, per ragioni diverse ma spesso dovute proprio alle conseguenze di conflitti armati interni o internazionali, come nel caso dell’Iraq, hanno perduto i loro poteri sovrani su parti significative del territorio nazionale”. Enti terroristici simili sono, in conclusione, allo stesso tempo considerati movimenti insurrezionali e gruppi terroristici.
L’ONU, successivamente, avanzò una proposta di aiuti umanitari ma il veto di Russia e Cina, applicato perché sospettosi che dietro tale azione ci fossero dei progetti per destabilizzare il governo di Damasco, bloccò la risoluzione. Così come gli accordi di pace di Ginevra finirono con un nulla di fatto dopo che la Siria si rifiutò di attuare una transizione politica. Bashar al-Assad si definiva il legittimo leader siriano e le elezioni indette da lui a giugno – considerate del tutto insignificanti dalla comunità internazionale – diedero un responso chiaro: nelle città sotto la tutela governativa, del 73% dei votanti il 90% si dichiarò a favore del presidente alauita.
Per contrastare l’avanzata dei miliziani islamici nacque, nel settembre del 2014, la coalizione internazionale anti-Isis, promossa dagli Stati Uniti.
Nel frattempo le vittime del conflitto sfioravano quota 200.000, mentre gli sfollati interni al Paese raggiungevano i 6,5 milioni e i rifugiati erano circa la metà di quest’ultimi16. In questo contesto, l’Isis continuò la sua avanzata all’interno della Siria, conquistando prima la città kurda di Kobane (poi liberata dagli stessi militanti kurdi) e successivamente Palmira, andando a distruggere gran parte dei monumenti storici e siti archeologi presenti, considerati pagani. Anche questo è un ulteriore elemento di novità: il totale rifiuto di tutto ciò che non appartiene alla loro cultura e viene dal di fuori.17 Un revisionismo religioso che li ha portati a compiere gesti estremi ed incomprensibili ai più.

La svolta la si ebbe nel corso del quarto anno di crisi. Il 30 settembre del 2015, infatti, la Russia scese in campo affianco della Siria e di Bashar al-Assad con il lancio di raid aerei contro le postazioni militari dell’Isis.
La motivazione dell’entrata in gioco della Russia, oltre a quella dichiarata di aiutare il legittimo Presidente della Siria, risiedeva in realtà in qualcosa di molto più ampio, ovviamente. Il famoso porto di Tartus, ottenuto grazie ad un accordo del 1971 tra URSS e Siria, è una base fondamentale per la Russia per i suoi interessi nel Medio Oriente: situato nella parte occidentale della Siria, esso è l’unico sbocco sul Mediterraneo che Mosca possiede attualmente. Un ulteriore elemento importante è la totale gestione del porto garantita ai russi - i quali si sono assicurati il controllo sullo stesso per ulteriori 49 anni, tramite un nuovo accordo siglato circa un anno fa. Per la Russia, inoltre, la Siria risulta essere uno dei maggiori importatori di armi e sul suolo siriano sono stati effettuati investimenti per infrastrutture ed energie. Ma non solo. Il ripetuto sostegno a Bashar al-Assad è dato dal fatto che, qualora il suo regime cadesse, si creerebbe una grande instabilità politica nel Medio Oriente, che comporterebbe delle ripercussioni nel Caucaso e al confine russo-asiatico e darebbe forza a quei gruppi terroristici sunniti che desiderano la secessione. Senza contare che l’Iran, a maggioranza sciita, perderebbe sicuramente forza qualora nella vicina Siria si instaurasse un governo sunnita e, di conseguenza, non svolgerebbe più la funzione di equilibrio all’interno della regione.

In realtà, la comunità occidentale accusò la Russia di colpire con i suoi raid gli oppositori del governo e la popolazione civile, attaccando ospedali ed altre strutture mediche. La conseguenza principale dell’intervento voluto da Mosca fu la risalita del governo di Assad, quasi totalmente capitolato. A fianco dell’esercito russo, le milizie lealiste iniziarono una lenta riconquista del territorio, a partire dalla città di Hama.
Nel frattempo, anche Londra si unì agli attacchi della coalizione anti-Isis e gli oppositori indipendenti crearono, in Arabia Saudita, l’Alto Comitato Negoziale (Hnc) con l’obiettivo di promuovere colloqui di pace, che inizieranno a Ginevra.
Nel febbraio del 2016, un nuovo accordo tra USA e Russia produsse un cessate il fuoco, ma non nei confronti dell’Isis. Anche questa volta non venne rispettato. La tensione salì vertiginosamente tra Turchia e Russia quando, già dopo i fastidi di Mosca provocati dall’abbattimento di un suo aereo per mano turca, il Primo Ministro turco Ahmet Davutoglu definì l’operato russo come terrorista. Le alleanze sul campo, i continui attacchi mediatici e militari tra leader dei rispettivi Stati e le tensioni politiche mai nascoste portarono la comunità internazionale ad un passo dal collasso e dalla possibilità, non più remota, di una preoccupante crisi politico-istituzionale dai risvolti imprevedibili. Putin continuò a sostenere Assad mentre la comunità internazionale vedeva nella sua figura l’emblema della guerra civile. Durante questo periodo furono intensissimi i rapporti che USA e Russia tennero per cercare di porre rimedio ad una situazione divenuta di difficile gestione. I continui richiami al cessate il fuoco erano continuamente svaniti uno dopo l’altro nell’indifferenza delle forze in campo.
Un accordo, stipulato a circa un anno di distanza dall’intervento militare russo, sancì l’impegno da parte americana di assicurare un allontanamento concreto dei ribelli da loro sostenuti dalle forze estremiste islamiste mentre il Cremlino doveva collaborare con Damasco per garantire l’arrivo degli aiuti umanitari inviati dall’ONU nelle zone assediate. Anche questo patto, a distanza di una settimana, capitolò dopo l’accusa nei confronti di Russia e Siria per aver attaccato un convoglio di aiuti umanitari, tempestivamente smentito dagli accusati. La situazione umanitaria era drammatica: non si riuscivano più a raggiungere molte zone assediate, come ad esempio Aleppo, continuamente sotto assedio da parte delle forze governative nel tentativo di strapparla al controllo ribelle, obiettivo che venne raggiunto successivamente.
[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'intervento militare russo nella crisi siriana: profili di diritto internazionale

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Informazioni tesi

  Autore: Lorenzo Santucci
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2017-18
  Università: Università La Sapienza - Roma
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Raffaele Cadin
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 39

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