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Fondamenti educativi e modelli pedagogici femminili a Roma

Lucrezia: il silenzio, il telaio, la cultura della vergogna

Lucrezia, moglie di Collatino, roccaforte di castità, fedeltà e di tutte le virtù che si addicevano al profilo areteico matronale, può essere presa come esempio della moglie ideale e, dunque, della donna in generale (che ha come unico scopo di vita quello di sposarsi). Insidiata da Sesto Tarquinio, amico di suo marito, Lucrezia cedette alla violenza non per paura della morte, ma per quella del disonore: si arrese, infatti, solo in seguito alla minaccia di Tarquinio che le disse che, se avesse opposto ancora resistenza, avrebbe collocato accanto al suo cadavere quello nudo di uno schiavo. Infine, la storia di Lucrezia è sublimata dall’atto estremo, poiché solo togliendosi la vita potrà lavare l’onta subita, permettendo al marito di vendicarsi ed elevare se stessa ad esempio per tutte le donne oltraggiate.
Bisogna qui altresì ricordare che il folle desiderio di Tarquinio era scattato non solo a causa della straordinaria bellezza della giovane moglie dell’amico, ma dopo l’aver constatato che, dietro il suo splendido aspetto, essa celava un essere pio, dedito alla casa e al telaio.
Lucrezia è, dunque, propriamente un prodotto della cosiddetta cultura della vergogna (nel suo preferire la morte al disonore), ma è anche e soprattutto una donna silenziosa, lanifica e domiseda, come si richiedeva ad una matrona rispettabile.

Le donne erano costrette al silenzio e, infatti, la parola femminile era accettata solo per comunicare il mos; per essere lepidus, il sermo femminile doveva essere molto contenuto e, soprattutto, le donne non dovevano mai parlare in pubblico.
Esisteva addirittura un nume tutelare specifico per il silenzio femminile, Tacita Muta, ninfa punita da Giove che le strappò la lingua poiché aveva parlato troppo, rivelando l’amore del dio nei confronti di sua sorella. La storia di questa ninfa (divenuta poi una delle divinità degli inferi) è esemplare in quanto rappresenta la storia di tutte le donne: Tacita Muta usò la parola a sproposito proprio perché era una donna, dunque per un difetto tipicamente femminile.
Oltre ad essere educata fin da bambina a moderare l’uso della parola, la donna conduceva la maggior parte del suo tempo tra le mura domestiche, dove una tradizione tutta femminile le imponeva di imparare a tessere e filare la lana per tutta la famiglia.
“Della matrona al telaio sono noti dalla tradizione letteraria molti esempi leggendari, che hanno valore di vero e proprio archetipo, destinato a durare nel tempo come elemento simbolico di una condizione femminile ideale”.

Il lanam fare era l’unica attività concessa alla buona moglie e, in tal senso, il telaio si rivestiva di una grande valenza pedagogica: fusi, conocchie e pesi da telaio facevano parte del corredo funebre femminile e nelle incisioni delle lapidi della donne più virtuose l’aggettivo “lanifica” veniva utilizzato come monito a tutte le donne, destinate improrogabilmente ai loro doveri esclusivamente domestici e familiari.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Fondamenti educativi e modelli pedagogici femminili a Roma

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Informazioni tesi

  Autore: Angelica Vecchiarino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Foggia
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze della Formazione continua
  Relatore: Barbara De Serio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 67

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