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Verso la democrazia o ritorno all'autoritarismo? La transizione di regime in Russia (1991-2009)

Il sistema elettorale russo dopo la caduta dell'URSS

Il sistema elettorale russo, utilizzato dal 1993 fino al 2003, scaturisce da un compromesso politico tra il Presidente Eltsin, il suo entourage e le forze riformiste che stavano portando avanti il processo di liberalizzazione della Federazione Russa e che in quel momento aveva subito una drammatica battuta d’arresto dopo il fallimento del secondo colpo di stato.
Sulla scorta di un’errata interpretazione del modello tedesco, le nuove forze politiche russe erano convinte che l’utilizzo di un sistema misto avrebbe conciliato sia i sostenitori del maggioritario puro -il Presidente Eltsin e la vecchia classe politica -sia i sostenitori del proporzionale – le forze riformiste -. Dopo aver valutato tutte le opzioni il deputato Viktor Sheinis, un giurista, scelse di introdurre un sistema elettorale misto che sembrava il più adatto a risolvere il conflitto tra Presidente e Congresso [Morini 2002].

Dal punto di vista normativo già nel 1988 era stata promulgata una nuova legge elettorale federale di 62 articoli che introduceva un sistema elettorale maggioritario per l’elezione di 1500 dei 2250 deputati del Congresso dei Deputati del Popolo, tuttavia, essa manteneva abbastanza inalterato l’impianto generale stabilito dalla precedente legge elettorale del 6 luglio del 1978. In altre parole la nuova legge elettorale del 1988 più che voler superare il procedimento elettorale sovietico mirava esclusivamente a rinnovarlo innestando alcune procedure di maggior democratizzazione del sistema elettorale. Questa non volontà da parte di Gorbacëv e dei suoi collaboratori di voler riformare completamente la materia elettorale si doveva in massima parte alla diversa concezione di elezioni che la classe politica sovietica aveva sviluppato durante gli anni di regime. Nel 1989, quello che si voleva ottenere attraverso le elezioni era esclusivamente una legittimazione democratica dei Soviet.

Infatti, come s’ê già più volte ricordato, Gorbacëv aveva compreso che attraverso il massiccio coinvolgimento del popolo russo sarebbe stato più facile separare lo Stato dal Partito e quindi realizzare gli obiettivi della riforma [Ganino 1995]. In ogni caso anche durante i primi anni della perestrojka il termine elezioni continuava a rimandare esclusivamente ad un momento di mobilitazione della società, escludendo a priori tutte le altre funzioni fondamentali che esse svolgono nei regimi democratici: la legittimazione della leadership da parte del popolo; il ricambio pacifico e periodico delle élite politiche; la possibilità di competere per i partiti ed infine -last but not least-la partecipazione del popolo alla vita dello Stato.
Di conseguenza la legge di revisione costituzionale dell’1 dicembre 1988 non sovvertiva la prassi elettorale sovietica ma si limitava a democratizzarne alcuni aspetti che consentirono comunque il passaggio da elezioni “senza scelta” ad elezioni semi-libere. Il regolamento elettorale del 1993 era invece completamente nuovo, esso scardinava tutta la vecchia prassi elettorale introducendo libere elezioni competitive tipiche di una democrazia moderna.
I 450 seggi in palio per la Duma di Stato vennero divisi in due gruppi da 225 seggi ciascuno. La prima metà era assegnata attraverso un sistema maggioritario-uninominale (a turno unico) con formula plurality in collegi uninominali (single-seat district, SSD), distribuiti negli 89 territori della Federazione.

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Verso la democrazia o ritorno all'autoritarismo? La transizione di regime in Russia (1991-2009)

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Informazioni tesi

  Autore: Benedetta Bagatin
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze della politica
  Relatore: Alessandro Chiaramonte
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 170

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