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Da piccolo borgo rurale a grosso centro commerciale: il caso di Misterbianco

Storia dell'economia misterbianchese

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, mentre si espandeva sempre più la categoria sociale della mastranza, il lavoro dei campi, e quindi l’agricoltura, rappresentava ancora la maggiore risorsa economica del nostro paese. Così come lo era alla metà dell’Ottocento, come apprendiamo dal Di Marzo: Misterbianco è un capo-circondario di 3a classe in provincia distretto e diocesi di Catania da cui dista 4 miglia, e 169 da Palermo. Si aveva 3076 abitanti nel 1378, accresciutisi a 4167 nel 1831, e finalmente a 5174 nello scorcio del 1852. Comprende il territorio in sal. 1835.700, delle quali 1.539 in giardini, 1.547 in orti semplici, 362.528 in seminatori alberati, 668.072 in seminatori semplici, 21.088 in pascoli, 55.035 in oliveti, 400.330 in vigneti alberati, 59.483 in ficheti d’India, 247.893 in boscate, 17.019 in terreni improduttivi, 1.166 in suoli di case territoriali. I principali elementi del suo commercio di esportazione sono il frumento ed il vino. Grossi proprietari terrieri, i “massara”, davano lavoro a un grande numero di contadini. Primo fra tutti “u fatturi”, il braccio destro del proprietario, colui che coordinava i lavori e teneva i conti. Seguiva “u mitateri” (il mezzadro), che lavorava una porzione più o meno grande della proprietà, dividendo i profitti a metà con il proprietario. Vi erano poi i “jurnatara” (i braccianti), divisi in mietitori, zappatori, raccoglitori di olive, mandorle e legumi. Perfino “l’aqualòru” aveva la sua importanza; durante la mietitura e la trebbiatura, quando il sole picchiava forte, quest’uomo con una grossa brocca o un barilotto in spalla portava da bere agli operai sul posto di lavoro. Due categorie “specializzate” erano : rimunnatùri e “nzitaturi”, esperti, cioè della rimonda e dell’innesto. Ma la categoria che consentiva una certa agiatezza e assorbiva circa l'80% degli agricoltori era la categoria dei vigneri (viticoltori). “A Chiana” di Catania rappresentava l’Eldorado dei misterbianchesi, nonostante le gravi difficoltà da affrontare per la sua “lontananza“ dal paese. Si viaggiava a dorso di cavalcature, o con il carretto, su strade dissestate, talvolta impraticabili. Molti si spostavano a piedi, macinando ore di strada. Si partiva dal paese per rimanere una settimana, o addirittura n mese, a seconda della stagione e dei cicli produttivi. Si rientrava – e non sempre – per le “feste comandate”: Pasqua, Natale e Sant’Antonio. Questa larga fascia di terreno, suddivisa in vari poderi e contrade, si affaccia sulla Piana di Catania e, digradando verso sud, va a congiungersi con essa. Molti contadini, per generazioni, con il loro lavoro assiduo e qualificato, hanno reso fertili queste terre coltivandole palmo a palmo, in prevalenza vigneti, dai quali ottennero – e in parte ancora ottengono – i migliori vini della provincia. Nel corso dei decenni, attraverso accurate selezioni ed innesti di sarmenti diversi, ottennero rigogliosi vitigni altamente produttivi e resistenti alle malattie, in particolare alla peronospora.

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Da piccolo borgo rurale a grosso centro commerciale: il caso di Misterbianco

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Informazioni tesi

  Autore: Salvatore La Rosa
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia aziendale
  Relatore: Domenico Ventura
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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