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L’istigazione e l’aiuto al suicidio nella legislazione, nella dottrina e nella giurisprudenza post-unitarie

Le posizioni della dottrina in tema di determinazione ed aiuto al suicidio

Come già anticipato nel capitolo precedente, il codice Zanardelli, pur non prevedendo la punibilità del suicidio, disciplinava come fatto di reato la partecipazione morale o materiale al suicidio. L’articolo 370, infatti, stabiliva che “Chiunque determina altri al suicidio o gli presta aiuto è punito, ove il suicidio sia avvenuto, con la reclusione da tre a nove anni”.
Esaminiamo, sul punto, le opinioni espresse su tale articolo dalla dottrina iniziando con il porre attenzione su quelle formulate in ordine a quella forma di partecipazione morale rappresentata dall’istigazione al suicidio.
Per autori come Benedetto Pellegrini, pur sostenendo che si trattasse di un reato sui generis, esso non poteva non essere considerato come una speciale figura di concorso nel reato posto che colui che, con la propria istigazione, faceva nascere in altri il proposito di suicidarsi agiva alla stessa stregua del correo morale che, nell’autore materiale, faceva sorgere l’azione delittuosa.
Si trattava di una tesi che, a ben vedere, superava l’assunto secondo cui non ritenendosi reato il suicidio non dovesse ricorrere, per ovvia conseguenza, alcuna forma di correità non essendo concepibile, sotto il profilo formale e strutturale, la correità o la complicità in un fatto che di per sé reato non era. Enrico Ferri, sulla problematica in questione, sosteneva che essendo il suicidio un’azione giuridicamente lecita, la partecipazione ad esso non poteva per sé sola essere un’azione giuridicamente illecita, a meno che essa non fosse stata determinata da motivi antigiuridici ed antisociali.
Sulla scorta di tale argomentazione, l’insigne studioso distingueva la partecipazione al suicidio in vera e propria istigazione ed in semplice aiuto, non perché tra le due fattispecie esistesse diversità giuridica quanto perché era più probabile che nella istigazione strictu sensu intesa i motivi che la determinavano avessero carattere di antigiuridicità.
In conformità al dettato normativo va detto, poi, che per autori come Paolo Pagani, per aversi determinazione di altri al suicidio occorreva che l’agente avesse esplicato l’istigazione con atti tali da far sorgere e portare a compimento nella vittima l’idea del suicidio precedentemente dallo stesso non concepita. Ne derivava, a suo dire, stante la ratio dell’articolo richiamato, la necessità della sussistenza di una comunanza d’intenti tra l’istigatore e l’istigato; sicché non poteva assurgere al ruolo di partecipe nel suicidio colui che dolosamente avesse indotto la vittima a compiere atti volti a procurarle la morte quando la stessa non voleva ciò.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’istigazione e l’aiuto al suicidio nella legislazione, nella dottrina e nella giurisprudenza post-unitarie

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Informazioni tesi

  Autore: Angelo Maria Leotta
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2004-05
  Università: Università degli Studi dell'Insubria
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Claudia Storti Storchi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 150

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Parole chiave

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etica suicidio
istigazione suicidio
punibilità suicidio
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