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Federalismo fiscale: i riflessi sugli enti territoriali

Discussioni aperte in materia di Irap

L'imposta ha, sin dalla sua introduzione, suscitato notevoli polemiche in riferimento a diversi aspetti. Se ne propone una breve osservazione.

Andando a colpire il reddito al lordo del costo del personale, grava in particolar modo su imprese ad alta intensità di manodopera riducendone la redditività. Tale considerazione appare opinabile considerando che l’imposta colpisce oltre al fattore lavoro anche i profitti e gli interessi. Quindi essa tassa sia il lavoro che il capitale, e da questi punto di vista ha costituito un disincentivo delle imprese.

Inoltre l'Irap spesso viene pagata dalle imprese anche in presenza di una perdita di esercizio andando ulteriormente ad aggravarla. E’ indubbiamente l’aspetto più controverso e più odioso dell’imposta che suscita continue polemiche tra loro contrastanti. Secondo alcuni studiosi, considerando che il profitto è una sola delle componenti la base imponibile Irap, e non volendo essere un’imposta sul profitto, pur se negativo, l’obbligo tributario resta in quanto le altre componenti della base imponibile sono ancora positive. Inoltre la presenza di perdite riduce nell’immediato la base imponibile e quindi l’imposta da pagare attraverso la compensazione con l’imposta dovuta sugli altri fattori imponibili.

Posizione diversa quella espressa da altri autori, tra cui autorevoli economisti come Giavazzi che in un articolo apparso sul Corriere della Sera titolato “L’Irap punisce chi dà lavoro” rimprovera all’imposta proprio il fatto che l’impresa subisce un prelievo anche in perdita.

L'imposta è stata oggetto di diverse critiche ed anche di alcuni ricorsi alla Corte Costituzionale per presunti vizi di costituzionalità. Ad oggi (ma alcuni ricorsi sono ancora pendenti), la Corte ha respinto tutte le censure dei ricorrenti. Particolarmente importante la sentenza 156 del 2001, nella quale la Corte respingendo diverse questioni di legittimità sull'Irap, ha individuato il presupposto dell'imposta nel valore aggiunto prodotto da attività autonomamente organizzate.

Alla pronuncia sono seguite decine di sentenze delle Commissioni Tributarie, confermate anche in Cassazione, tendenti ad escludere il pagamento dell'imposta e ad ammetterne il rimborso per i lavoratori autonomi privi di autonoma organizzazione. La stessa Agenzia delle Entrate ha accolto la tesi della necessità dell'autonoma organizzazione per i lavoratori autonomi, dando istruzioni agli uffici per l'abbandono del rilevante contenzioso in corso. In ogni caso, doveva proseguire il contenzioso nei confronti di taluni imprenditori (dal punto di vista fiscale), quali artigiani, agenti di commercio e promotori finanziari, che avevano avviato cause sostenendo anch'essi la mancanza di organizzazione.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, l'organizzazione è infatti elemento necessario dell'attività d'impresa svolta da questi soggetti. Le innumerevoli sentenze in materia di autonoma organizzazione hanno ormai fissato due principi, la cui prova deve essere fornita dal contribuente:
non devono essere presenti lavoratori dipendenti o collaboratori;
i beni strumentali devono limitarsi al minimo indispensabile per l'attività svolta.

Recentemente, la Cassazione ha sostenuto l'applicabilità del concetto di autonoma organizzazione, anche ad agenti di commercio e promotori finanziari. Secondo la Corte è infatti irrilevante il fatto che tali attività ai fini delle imposte sul reddito siano qualificate come redditi d'impresa, ben potendo le stesse essere svolte anche senza organizzazione. Il punto però è ancora controverso.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Federalismo fiscale: i riflessi sugli enti territoriali

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Informazioni tesi

  Autore: Lucia Petrocelli
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi del Molise
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze dell'economia
  Relatore: Paola Sabella
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 94

FAQ

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