Franchisig in Cina

Sorpassato il periodo in cui la Cina non si è vista più costretta a contare solo sulle proprie forze, l'amministrazione statale si è trovata di fronte a questioni che l'hanno colta un po' impreparata, in particolare quelle che riguardavano i rapporti con l'estero. Nel caso del franchising, quando è sorta la necessità di determinare i criteri sottesi alle disposizioni che introducono la figura dell'affiliante straniero il Ministero per il Commercio Estero ha ben pensato di prendere come riferimento le leggi sul franchising vigenti in altri Paesi. In più, circa un mese prima della loro versione definitiva ha messo in circolazione le “Misure provvisorie per l'amministrazione delle aziende a investimento straniero che operano in franchising” per apprendere l'opinione dei diretti interessati, sollecitarli a dare consigli o suggerimenti. Il feed back sarebbe stato utile per capire le esigenze degli operatori aziendali e apportare miglioramenti al testo. Questa interpellanza è stata una eclatante manifestazione di democrazia sia per il popolo cinese che fino a qualche decennio fa non poteva che assentire l'unico parere, quello statale, sia per la comunità internazionale, che ha avuto prova del cambio di rotta della Cina nei confronti dell'estero e delle trasformazioni che stavano avvenendo al suo interno. Da un'angolazione sociologica può essere interpretata come un messaggio indirizzato alle nazioni dell'Ovest del mondo a non paventare la Cina e le sue scelte perché senza pregiudizi si agevola l'avvicinamento fra di esse. In qualsiasi modo la si voglia intendere, essa trovava giustificazione nel fatto che le norme erano destinate anche agli investitori stranieri, i quali potevano concorrere a esprimere il proprio giudizio accanto a quelli nazionali; oltretutto è stato un accorgimento per assicurarsi che il lavoro avesse dato frutti apprezzati e in linea con le abitudini internazionali.