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Botticelli tra i musei d’Europa e d’Oriente. Validità, opportunità e diversità delle Mostre temporanee.

Un’allegoria mitologica: Pallade e il centauro di Botticelli

Per i neoplatonici di Marsilio Ficino il rapporto con l’arte era fondamentale.
Platone svalutava il ruolo dell’arte in quanto imitazione della realtà, a sua volta imitazione delle idee perfette e immutabili. Plotino, il maggior filosofo neoplatonico, affermava invece che l’arte era una trasposizione delle idee sul piano materiale e che attraverso la contemplazione della bellezza terrena si poteva elevare la propria anima in modo da condurla gradualmente al divino. L’artista, perciò, doveva farsi portavoce di questa filosofia attraverso complesse allegorie dal significato volutamente criptico, che potevano essere comprese soltanto dagli intellettuali della propria cerchia.
E’ in questo contesto che nascono i grandi dipinti mitologici di Sandro Botticelli, come Pallade e il centauro (1482 circa, Firenze, Uffizi, fig. 45). Nel 1499 il dipinto è menzionato nell’Inventario del palazzo di via Larga di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino del Magnifico. La tela si trovava nella stessa stanza della Primavera.
Una giovane donna dotata di uno scudo e di un’imponente alabarda (identificata come mazzapicchio, arma usata nei combattimenti a piedi nel XV secolo) afferra per i capelli un centauro che si volta verso di lei implorando pietà con lo sguardo. Per la figura del centauro possiamo indicare come riferimenti alcune opere ellenistiche che sicuramente Sandro avrà avuto modo di ammirare nel suo soggiorno romano, mentre per il personaggio femminile si sono accavallate fra loro svariate ipotesi. I serti di ulivo che circondano la testa, il busto e le braccia della giovane la identificherebbero come Pallade-Minerva, nonostante sia priva dei comuni attributi della dea (l’elmo, l’egida e la lancia). Il significato del dipinto può ricollegarsi ai dettami neoplatonici, in una chiave di lettura secondo cui la saggezza e la ragione di Minerva vincono gli istinti ferini del centauro. Quest’ultimo, essendo per metà essere bestiale e per metà uomo, può rappresentare allora il dualismo insito nella natura umana: la parte animalesca simboleggia l’istinto carnale, mentre la parte antropomorfa si riferisce allo spirito che viene ricondotto a volgersi verso la virtù, preludio a una sapienza superiore capace di guidare l’uomo verso il divino.
Questo dipinto, a mio avviso, sembra dare adito al pensiero di Pico della Mirandola. Il noto umanista, nell’Orazione, sosteneva che l’uomo non ha una collocazione precisa nell’universo, e a causa di questa sua natura indefinita ha in sé le qualità di ogni altro essere vivente. Spetta alla sua volontà scegliere se degradarsi allo stato ferino o innalzarsi verso Dio.
Questa visione differisce da quella di Ficino, che nella Teologia Platonica attribuisce all’uomo un posto fisso e immutabile, al centro dell’universo.
La veste traslucida della dea è adornata con un’impresa medicea costituita da anelli intrecciati in cui è incastonato un diamante. Cecchi (2000) fa notare che l’emblema era adottato dal ramo mediceo di Cosimo il Vecchio e scarta perciò definitivamente l’ipotesi di una committenza diretta di Lorenzo di Pierfrancesco.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Botticelli tra i musei d’Europa e d’Oriente. Validità, opportunità e diversità delle Mostre temporanee.

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Informazioni tesi

  Autore: Angela Patrono
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue e culture moderne
  Relatore: Mimma Pasculli Ferrara
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 53

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