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Vasco Rossi: una musica senza messaggio?

Come Vasco vede Vasco

Prima di fornire una risposta alla domanda che fa da titolo a questa tesi, ossia se oltre a comporre canzoni Vasco Rossi lancia anche un messaggio mi sento in dovere di anteporre alle mie valutazioni, ciò che lui stesso dichiara in merito. Un altro argomento correlato è la funzione che i mass media hanno avuto nella formazione del rocker, della sua popolarità e della sua fama di “maledetto”.
Inizio da quest'ultimo tema che, soprattutto ultimamente, sta molto a cuore a Vasco. Cronologicamente parlando, la prima apparizione televisiva del cantante emiliano avviene nel ’79 con la canzone la Strega in un programma condotto da Gianni Morandi.
Il vero scalpore però lo suscitò tre anni dopo, a Domenica In, a seguito dalle famosa critica di Salvalaggio che lo definì un “ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe”. Lo rivedremo poco dopo in un'altra trasmissione RAI, sempre condotta da Pippo Baudo, Sanremo. Al Festival partecipò per due anni consecutivi, arrivando sempre ultimo ma restando in testa alle classifiche delle vendite per settimane.
Questi dati rendono ovvio come il piccolo schermo abbia fatto da cassa di risonanza amplificando l’idea che poteva esistere qualcosa, o meglio qualcuno, che andava contro ed oltre il perbenismo obbligatorio che voleva tutti in giacca e cravatta, composti, ordinati e ben educati.
La televisione portò nelle case degli italiani la possibilità di scegliere. Mostrò che esisteva chi credeva “in una vita come quelle dei film” (Vita spericolata, in Bollicine, 1983).
I giovani guardano con interesse a questo personaggio che durante il festival della canzone italiana abbandona il palco, con il microfono in tasca, ancor prima della fine della traccia musicale. I giovani guardano con interesse a un altro giovane, a uno come loro. É una svolta negativa per il mondo dei benpensanti, ma le sue apparizioni fuori dalle righe al Teatro Ariston furono estremamente vantaggiose per aumentarne il carisma, diventato, da quel momento, mediatico. Distante dalle regole del buon comportamento e della formalità, Vasco Rossi è presto visto come un’icona in cui il teenager s’identifica e si sente in grado di scardinare il potere, l’ordine precostituito.
Se nelle parti dello “spericolato”, del “maleducato” ci fosse improvvisamente stato un politico o un pilastro della sistema mediatico, come ad esempio poteva essere Pippo Baudo, penso che la reazione del pubblico sarebbe stata di unanime disappunto, a prescindere dalla fascia d’età. E qui mi viene in mente un parallelismo con la frase di Jerry Rubin: “Sull’automobile di papà la radio trasmetteva Elvis Presley e sul sedile posteriore i ragazzi si liberavano” (cfr. Carrera, 1980). É evidente come la macchina del genitore sia sostanziale alla liberazione alla stessa maniera del rock, ma a nessuno è mai venuta l’idea di definire i progettisti della General Motors come dei rivoluzionari.
La crisi degli affetti, dei vincoli che l’universo giovanile attraversa non è solamente un problema di comunicazione o di mezzi di comunicazione, ma è una crisi del linguaggio, o meglio dei linguaggi. Le cose da dire sono tante ma non si sa più come dirle, e allora entra in gioco la musica, Vasco e il suo rock che, come lui stesso dice “è la voce di chi non ha voce. Il rock è una grande forma di espressione, la lingua migliore per parlare chiaro” (www.vascorossi.net).
Dichiarerà in numerose interviste che le sue canzoni “sono delle provocazioni alle coscienze addormentate, altre volte sono ironiche o amare constatazioni della realtà della vita” (cfr. Canale, 2008), definendosi poi un provokautore (Mollica & Patavina, 2006). Essenziale per arrivare alla provocazione è quell’ironia che caratterizza la maggior parte dei suoi testi.
A ben vedere, Vasco Rossi si colloca in un punto esterno alla cerchia dei cantautori come Guccini, De Andrè, Dalla o De Gregori, tutti entrati sulla scena a partire dagli anni ’60. “I cantautori - egli afferma - erano loro, che usavano la musica delle ballate, fatta con la chitarra, senza ricorrere al linguaggio del rock. Io invece ho utilizzato quel linguaggio dei cantautori appoggiandomi alla musica del rock. Con le mie canzoni non mando mai messaggi sociali o politici, esprimo una mia idea ben precisa e ritengo giusto che la gente la conosca. Io provoco, dico le cose con delle frasi che provocano la coscienza. Non puoi sentirle e far finta di niente. Dopo averle sentite, o provi fastidio, oppure sei d’accordo anche tu e quello che ho detto ti sveglia un po' dal tuo torpore. È perciò una maniera di provocare la coscienza della gente e anche la mia. Se la vedi allo stesso modo allora capisci tutto quello che ho scritto nel maniera giusta. Se invece non cogli la provocazione ma la intendi come un messaggio, allora è chiaro che il messaggio può essere negativo” (cfr. Curatolo, 2004).
Ancora lo sentiamo sottolineare come le sue canzoni siano “un gesto di liberazione contro tante cose. Il concetto di vita spericolata, ad esempio, è quello di non volere una vita inquadrata, piena di programmi per il futuro” (cfr. Pigmei, 2003).
Conclude con la spiegazione prendendo come riferimento una sua nota frase: “Quando dico che “vado al massimo” (Vado al massimo, in Vado al massimo, 1982) voglio dire l’esatto contrario, cioè che devi andare piano”. L’ironia fa da padrona ed infatti, quando scrisse questa canzone, si trovava in un periodo in cui tutto andava male e certamente era distante dall’ “andare a gonfie vele” (ibidem, op. cit.).
Sempre negli anni di questi album entra in campo anche la pubblicità. La Chicco usò Vita spericolata come base di uno spot televisivo. I veri sognatori, ingenui e senza regole, sono i bambini che sognano “una vita di quelle che non dormi mai, piena di guai...” (Vita spericolata, in Bollicine, 1983) dimostrando come al testo si possa dare un senso del tutto privo di sregolatezza e che in fin dei conti ognuno dà il significato che vuole alle cose.
Negli ultimi tempi vediamo protagonista anche la Fiat che ha chiesto a Vasco canzoni come ‘Senza parole’ e ‘Rewind’ per magnificare le proprie vetture. La campagna è stata fragorosa e forse ha giovato non poco alla casa automobilistica. Il rocker, però, dopo aver visto anche la Vodafone viaggiare sulle note di ‘Come stai’ ha fatto un passo indietro: “Ti distingui dall’uomo comune” (Come stai, in Buoni o cattivi, 2004) non per la compagnia telefonica che ti rappresenta, né resti “senza parole” (Senza parole, in Senza parole, 1994) o vai avanti nella vita “veloce come il vento” (Rewind, in Rewind, 1999) per la macchina che guidi, ma solo grazie ai tuoi sogni. E per Vasco i sogni, i desideri e le speranze, sue e dei suoi fan, sono racchiusi nelle canzoni.
La musica è il più indifeso tra tutti i linguaggi artistici: soggetta a squalifica è resa puro contorno ed accessorio per slogan politici o pubblicitari. Subisce processi di alienazione sconosciuti alla pittura o alla letteratura e, grazie all’uso negativo della tecnologia, la nostra civiltà moderna dei consumi, riesce a sfruttarla per i propri fini classisti. É però inutile indignarsi di fronte ai mezzi di massa. Solo cambiandone le funzioni, senza arrendersi all’impotenza sociale, si può bloccare il monopolio dell’industria della cultura e così ha fatto Vasco. Nel 2006 annuncia pubblicamente di non voler più cedere i diritti delle proprie canzoni, ammettendo il suo precedente errore: non è corretto commercializzare nel sistema mediatico le emozioni.
Riguardo i mass media Vasco ha in merito un'opinione radicale: “La TV è come la droga pesante, ci vorrebbero le comunità di recupero per chi è intossicato dai soliti programmi” (www.vascorossi.net). Le teorie sugli effetti dei mass media sono, da sempre, molteplici. La ‘Teoria degli usi e delle gratificazioni’, che considera ciò che gli utenti possono fare dei e con i media, e non viceversa. La predilezione per un determinato programma avviene in base a ciò che, in un dato momento, soddisfa certe esigenze derivanti generalmente dalla biografia dell’individuo e dalle personali esperienze come consumatore di mezzi-generi-prodotti (Archer, 2003). La Teoria dell’Agenda setting invece sostiene come i mezzi possano influenzare gli spettatori rispetto a determinati fatti e all’attenzione che, in un dato periodo, essi vi dedicano. É rilevante il modo in cui i media mettono in primo piano certe tematiche e personaggi. Il criterio di priorità individuale non è determinato dall’importanza sociale dei fatti o dal reale coinvolgimento del lettore ma dallo spazio dedicato loro dai media (ibidem, op. cit.).
Un’altra teoria molto interessante è la cosiddetta Spirale del silenzio di Neumann secondo cui più i media trattano specifici temi più questi tendono a diventare centrali e ad imporsi sul pubblico. Siamo in una società in cui non è facile trovare motivi d’identificazione in valori o norme ampiamente condivisi e, di conseguenza, dilaga il timore di venir isolati, soprattutto quando si tocca con mano che viene escluso chi non è omologato alla maggioranza (ibidem, op. cit.).
Per evitare di manifestare asocialità, sembra una conseguenza quasi naturale ispirarsi a ciò che proclamano i media. Le opinioni prevalenti tendono a diventare dominanti e quelle alternative, sono destinate a svanire. É ciò contro cui Vasco esprime il suo dissenso: “Con le mie canzoni non offro risposte perché non ne ho” afferma, e aggiunge “sono contro una società sempre più portata all’ipocrisia, all’arroganza, all’egoismo. Siamo continuamente sottoposti a giudizio”. Faccio canzoni a livello sociale, non politico. Una canzone può cambiare l’umore di una giornata “ma non può cambiare le cose che devono cambiare con le consapevolezze delle persone” (ibidem, op. cit.).
Vasco è attento nello specificare come l’artista sia un fotografo della realtà, e sottolinea come esso non costruisca le coscienze, subdolo “beneficio” che, egli assegna alla televisione. Quest’ultima la definisce poi “il quarto potere, il potere dell’informazione” (Intervista a La Stampa, 2010) e si colloca alla pari degli altri tre poteri indipendenti: giudiziario, esecutivo e legislativo. Sentendo queste riflessioni mi viene spontaneo il richiamo ad un'altra teoria sulle possibili conseguenze riguardo l’impatto dei messaggi mediali sull’individuo: la Cultivation Theory.
I passaggi su cui si edifica questa teoria sono molteplici. La televisione è vista come presenza pesante ma apparentemente invisibile perché il suo impatto non è considerato come fonte di socializzazione diretta ma semplicemente come puro speattacolo o titolo informativo. Il piccolo schermo racconta storie “mediate”, ossia costruite, in cui il telespettaore si fonde o meglio, si confonde, scambiando la finzione per realtà. Inoltre, si tende ad essere sempre meno selettivi poiché la televisione insiste molto su una gamma limitata di prodotti o programmi.
Grazie a questo martellamento impone contenuti e forme. Anche il pubblico più accorto non potrà far a meno, in un lungo periodo, di “assorbire” i contenuti mediali e i significati loro connessi. Vasco aderisce a questo pensiero espriemendosi come meglio sa fare, con le canzoni: "Non sai più ‘se è un film’, oppure se è successo veramente. Oggi è la TV a dire ‘SE’… se una cosa 'è vera' o se 'hai sognato' te...” (Non appari mai, in Gli spari sopra, 1993).
É la televisione a determinare i principali temi della cultura contemporanea. E ancora continua aggiungendo che "non c’è niente da pensare... qui basta solo lavorare e puoi guardare la TV... magari quello là in fondo sei tu!!" (ibidem, op. cit.) “il rischio che si corre è che l’informazione si stia trasformando sempre più in prodotto e che si stia spingendo sempre più la realtà verso lo spettacolo” (Archer, 2003).
Viviamo in un mondo in cui sappiamo quasi tutto ma non possiamo avere altrettante certezze. “La TV è finzione, ti fa vedere tutto soltanto dal suo punto di vista, facendo diventare vero o importante solo quello che sta davanti alla telecamera” (ibidem, op. cit.).
I bisogni culturali vengono recepiti, ritradotti e reimmessi nel mercato da chi controlla i mezzi di comunicazione. Bisognerebbe distinguere tra bisogni e bisogni indotti.
Lontano da questa deragliante condizione sembra essere solo l’artista, che non incita, ma fotografa una situazione che esite, dalle gioie ai malesseri. Rappresenta, non crea le coscienze. La musica rock è stata il più delle volte consumata in chiave politica, attribuendo idee o spunti rivoluzionari a personaggi che mai si erano sognati di rivestire determinati ruoli.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Vasco Rossi: una musica senza messaggio?

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Informazioni tesi

  Autore: Verena Venturini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Alma Mater Studiorum - Università di Bologna - Sede di Forlì
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Sociologia e Scienze criminologiche per la sicurezza
  Relatore: Leonardo Allodi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 67

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