Pasolini legge Dostoevskij - Le recensioni a ''Delitto e castigo'' e ''I fratelli Karamazov''

Il discorso [su "I fratelli Karamazov"] si pone perciò su un piano più disteso e più facilmente accessibile a tutti – laddove questi tutti però (e questo Pasolini lo dà ancora per scontato) abbiano bene in mente il romanzo – , nonostante non vengano eliminati tutti quei termini relativi alla psicanalisi (Pasolini parla ancora di rimozioni, lapsus, amnesie, lacune, inconsci, sdoppiamenti).
Qui invita il lettore a “riprendere” in mano il saggio di Freud su Dostoevskij per poter meglio capire le osservazioni che verranno dopo.
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Se nella precedente recensione si poteva avere l’impressione di star leggendo uno de I Casi clinici di Freud, qui l’impressione si sposta su una diagonale precipuamente da “romanzo giallo”.
Se nella precedente recensione ciò che pesava maggiormente su i piatti della bilancia era la lettura freudiana, qui il piano psicanalitico e il piano dell’intreccio sono in fermo equilibrio.
Sebbene il saggio si apra con la citazione del saggio di Freud sul parricidio in Dostoevskij, Pasolini mostra subito il suo interesse non solo per “il duplicarsi” della figura paterna, ma anche per “la moltiplicazione delle responsabilità per quanto riguarda la figura del parricida”.
“Il quartetto della forza karamazoviana” viene subito inquadrato, in una ricerca ai fini dello smascheramento del “vero” parricida (ma la conclusione non ci dice niente di nuovo: tutti i fratelli sono colpevoli, ecco “la moltiplicazione delle responsabilità” ).

Smerdjakov, l’esecutore materiale, il figlio illegittimo, che confesserà il proprio atto, quello che più di tutti avrebbe in fondo avuto ragione a odiare il padre. “Non si può forse immaginare una personalità più turpe di questo verme ghignante e sfrontato in livrea da lacchè” . Dietro a lui Dostoevskij nasconde l’odio per l’umanità, la crudeltà e il disprezzo per il dolore altrui, il livore verso la Russia, tutti sentimenti che appartengono alla sua natura di servo.