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Le Rappresentanze Sindacali Unitarie nell'industria tessile pratese dal 1993 al 2001

I consigli di fabbrica

I consigli di fabbrica si affermarono con un movimento dal basso agli inizi degli anni settanta nelle maggiori industrie del nord. E, cosa inedita, furono riconosciute per legge dallo Statuto dei Lavoratori, nell’articolo 19: “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito: a) delle associazioni aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette Confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali del lavoro applicati all’unità produttiva […]”.
La novità dal profilo della rappresentanza consisteva nel fatto che i consigli rispecchiavano quella cultura della pariteticità e dell’unanimità su cui poggiava l’unità sindacale appena costruita. Era infatti di quegli anni la creazione della Federazione unitaria tra Cgil, Cisl e Uil. Questo presupposto di unità si rifletteva all’interno dei luoghi di lavoro tramite i Consigli, i quali a differenza della CI non venivano più votati su liste di organizzazione o di corrente.
Inoltre, il Consiglio di fabbrica era agente e organo unico (Carrieri; 1995): infatti, nel suo piccolo era una efficientissima cellula di quell’unità sindacale ancora in fieri a livello nazionale, perché rappresentava sia i tre sindacati, sia sindacati che lavoratori e si presentava come un organismo sindacal-contrattuale. Era insomma un organismo completo che semplificava molto la rappresentanza in azienda, superando un dualismo che si era venuto a creare tra le CI e le sezioni sindacali aziendali: un dualismo che rifletteva in realtà due visioni diverse di sindacato – in particolare tra Cgil e Cisl – una di un “sindacato generale”, che dovesse essere rappresentativo di tutti i lavoratori, e uno di “sindacato associazione”, che tutelasse unicamente gli iscritti. Tuttavia proprio questa sua vocazione unificatrice finì per renderlo uno strumento meno efficiente del previsto e un modello di rappresentanza piuttosto contraddittorio: rappresentando allo stesso tempo il sindacato e i lavoratori, e quindi essendo un organo “che sale dal basso” come espressione dei lavoratori e che “scendeva dall’ alto” come espressine dei sindacati (ivi, pag. 42), il Consiglio presentava due facce che non permettevano di capire da quale parte dovesse essere legittimata la rappresentanza. Inoltre, finì per avere una vocazione fin troppo “generale”: pur essendo una struttura di base del sindacato i Consigli non facevano proselitismo, non facevano cioè distinzione tra iscritti e non iscritti ed erano quindi organi più dei lavoratori che dei sindacati. Una conseguenza era che nei consigli non ci si “contava” mai, non si effettuavano votazioni democratiche.
Dunque, la vocazione stessa dei consigli a essere un canale unico della rappresentanza li porta ad essere sovraccarichi di compiti e di aspettative, dimostrando in realtà la loro non idoneità a svolgere quell’enorme carico di funzioni loro attribuite. In una situazione di unità sindacale e di conflitto, come furono i primi anni settanta, si può dire che funzionarono bene. Già nel decennio successivo, con la trasformazione del mondo del lavoro e la conseguente “ricentralizzazione” delle relazioni industriali (Carrieri; 1995) il loro ruolo è diventato sempre più marginale e si è avvertita la necessità di trovare una nuova forma di rappresentanza.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le Rappresentanze Sindacali Unitarie nell'industria tessile pratese dal 1993 al 2001

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Informazioni tesi

  Autore: Giulia Ciampi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Sociologia
  Relatore: Franca Maria  Alacevich
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 66

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