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La repressione della tortura nell'ordinamento penale italiano

La letteratura contro la tortura

“Tanto è antica la contraddizione a questa barbara costumanza (la tortura) quanto lo è antico il ragionare e l’aborrire le inutili crudeltà”.
Questa citazione dell’opera di Pietro Verri riassume esattamente quanto si dirà in questo paragrafo. Nonostante la tortura sia un fenomeno così affermato c’è tutta una vastissima letteratura che ci testimonia come in ogni epoca ci siano state critiche a questa usanza.
Continuando con le citazioni, è proprio attraverso lo scritto di Verri (il cui nome è inciso a chiare lettere nella storia della critica alla tortura) che apprendiamo che già Cicerone nell’orazione Pro Silla si schierava contro i trattamenti crudeli “La tortura è dominata dallo spasimo, governata al temperamento di ciascuno sì d’animo che di membra, la ordina il giudice, la piega il livore, la corrompe la speranza, la indebolisce il timore, cosicché fra tante angosce nessun luogo rimane alla verità”. La lista di nomi illustri continua con Sant’Agostino il quale nel libro 19 c.6 del De Civitate Dei tratta dell’orrore degli umani giudizi quando la verità è nascosta. Ancora, abbiamo Quintiliano (Instit. Orat. Libro V cap IV), il già citato Seneca “etiam innocentes cogit mentiri” (il dolore spinge gli innocenti a mentire) e Valerio Massimo (libro III cap. III e libro VII cap. IV) .
Il Verri si preoccupa di aggiungere che neanche tra i criminalisti non mancò chi si schierò contro la tortura, e procede anche qui con un elenco di nomi di uomini “più ragionevoli e colti che detestarono l’uso de’ tormenti”.
Nonostante i nomi illustri di cui sopra della storia, della giurisprudenza e della letteratura, si ricordano altri nomi altrettanto importanti per quanto riguarda questo argomento, come ad esempio quelli di Beccaria, Voltaire, Manzoni, Montesquieu e naturalmente il già citato Verri. Questi autori si collocano all’interno di un filone di pensiero dai contorni ben definiti.
Le opere di questi scrittori e pensatori del XVIII sec. sono assolutamente diverse tra loro, ma si caratterizzano per essere tutti scritti dal rilevantissimo valore sociale e culturale. Per cominciare Cesare Beccaria nel suo celeberrimo scritto “Dei Delitti e delle pene” dedica l’intero capitolo XVI alla inutilità e alla ceca crudeltà della tortura, ma soprattutto alla totale assenza di funzione sociale e giuridica che riveste la pratica: “Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, nè la società può toglierli la pubbliva protezione, se non quando sia deciso che egli abbia violati i patti coi quali le fu accordata.” E ancora “Qual è il fine politico delle pene?” Tutti interrogativi assolutamente attuali, che ancora oggi sono fonte di grande riflessione e che sono anche alla base del disegno di legge che se approvato, introdurrà anche in Italia il delitto specifico di tortura.
Il testo del Beccaria è molto esplicito nella sua critica, la quale si articola in tre punti diversi, come fossero tre motivi per cui la tortura non dovrebbe essere più praticata. Si parte dell’idea che la tortura non sia un valido strumento per scoprire la colpevolezza di un uomo “....quasi che il criterio della verità risieda nelle fibre e nei muscoli di un miserabile. Questo è il mezzo sicuro per assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti.”. Proseguendo nella lettura si apprende lo sconcerto reale nell’autore nel constatare come nel diciottesimo secolo la tortura fosse ancora una pratica tanto in voga e come il suo utilizzo fosse in realtà dettato da una erronea lettura delle credenze religiose “Un dogma infallibile ci assicura che le macchie contratte dall’umana debolezza e che non hanno meritata l’ira eterna del grand’Essere, debbano da un fuoco incomprensibile essere purgate...”. Il terzo motivo di critica è quello per il quale alla fine sono gli innocenti che pagano sempre anche per colpe non commesse, in quanto a differenza dei colpevoli hanno molto più da perdere, poiché se il colpevole è forte può sopravvivere alle torture e apparire senza colpe, mentre l’innocente comunque, anche nel caso di sopportazione delle sofferenze, avrà patito inutilmente. L’analisi del Beccaria è molto interessante soprattutto in quanto la sua opera è stata posta alla base della stesura dei diversi disegni di legge del Parlamento italiano per l’introduzione nel reato di tortura nel nostro codice penale. La sua importanza risiede, quindi, soprattutto nel permetterci di evidenziare quali siano le basi su cui si fonda la concezione dottrinale e giurisprudenziale della fattispecie della tortura nel nostro ordinamento.
Diversa è l’opera di un altro autore italiano Pietro Verri che con la sua opera, “Osservazioni sulla tortura”, ha dato un quadro più complesso e organico alle denuncie già chiare nello scritto del Beccaria. Le “Osservazioni” hanno un carattere innanzi tutto più specifico, ma fondamentalmente molto simile alla produzione del Beccaria.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La repressione della tortura nell'ordinamento penale italiano

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Informazioni tesi

  Autore: Annalisa Bonavita
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2006-07
  Università: Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Giuseppe  Mazzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 116

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