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I percorsi verticali di Napoli

La collina del Vomero e il borgo di Chiaia

Dopo aver esaminato in generale la pedamentina nel territorio napoletano, questa parte della tesi è dedicata all’approfondimento di una zona particolare della città.
L’obiettivo è quello di esaminare le principali direttrici collinari che, oggi come nel passato, hanno contribuito a costruire quel rapporto urbanistico di collegamento tra la collina del Vomero e la parte sottostante del borgo di Chiaia.
Prima di esaminare nel dettaglio i tracciati individuati, è opportuna una breve presentazione dello sviluppo storico-urbanistico dei due quartieri, evidenziandone le trasformazioni nel corso dei secoli.
La collina del Vomero domina il paesaggio napoletano per la sua posizione centrale nel tessuto urbano. Essa è situata nella parte occidentale della città e fu interessata molto tardi dallo sviluppo edilizio. Gli unici nuclei abitati erano dislocati lungo i percorsi che salivano ai piccoli villaggi della collina, difficilmente accessibili dalla città bassa.
La collina vomerese, a partire dalla tavola Strozzi e dalla veduta Dupérac-Lafréry, è ritratta immersa in un manto verde su cui domina la certosa di San Martino. Il colle di Sant’Elmo ancora sino alla metà del Cinquecento rimane ricoperto di vigne e di vegetazione selvatica, ma il clima di guerra e l’insicurezza di quei tempi non costituivano certo circostanze favorevoli all’edificazione sulle sue pendici.
Solo dopo l’ampliamento della città, previsto dal viceré Pedro da Toledo e attuato nella seconda metà del XVI secolo, parte della collina del Vomero e l’area superiore del borgo di Chiaia furono inglobate nella nuova cinta muraria, garantendo maggiore sicurezza alla vita dei cittadini. In modo sporadico, i proprietari dei terreni cominciarono a erigervi abitazioni e palazzi per la stagione estiva; sorsero chiese e conventi che permisero agli ordini religiosi una vita di preghiera lontani dal tumulto cittadino e confortati da un clima mite e salubre. Il territorio era collegato alla città sottostante solo da quattro vie: «quella larga e relativamente comoda che per la strada dell’Infrascata il Ponte della Cerra ed Antignano permetteva alle vetture di arrivarci, e le altre tre pietrose e dirupate della Pedamentina di S. Martino, del Petraio e di S. Francesco, praticabili soltanto da pedoni e dagli animali: quella dei Monti, di S. Carlo a Mortelle ed altre poche, arrivavano solo alle falde del colle».
Agli inizi del XIX secolo l’immagine del Vomero è rappresentata nella tavola «Quartiere Montecalvario» di Luigi Marchese [1804]. Esso era ancora caratterizzato da un carattere prevalentemente agreste: il verde delle colline cinge la mole del castello e della certosa, in competizione con il fitto tessuto edilizio dei Quartieri Spagnoli a meridione, che dal confine di via Toledo si arrampicano lungo le pendici del colle di Sant’Erasmo.
Nel Decennio Francese [1806-1815] si avviò il programma urbanistico adottato da Giuseppe Bonaparte prima [1806-1808] e poi da Gioacchino Murat [1808-1815] con interventi finalizzati all’espansione della città.
Nel corso del XIX secolo, sotto il profilo urbanistico, l’intera zona subì un programma progressivo e costante di interventi, ben documentato nei fogli della pianta di Federico Schiavoni [1872-1880] e in alcune tavole di dettaglio relative al piano di ampliamento dei quartieri Vomero e Arenella, disegnate dall’Ufficio Tecnico del Comune di Napoli nel 1886.
Se sotto il profilo architettonico si decise di riqualificare - tra le aree esterne alla città antica - proprio quella a ridosso di via Toledo, sotto il profilo urbanistico si riprese uno dei cantieri più significativi per l’area a monte della collina. Dal 1861, infatti, si realizzò il secondo tratto del corso Maria Teresa, che l’urbanista Enrico Alvino e i suoi collaboratori avevano completato solo da Mergellina al complesso di Suor Orsola. Fino ad allora i lavori avviati erano proseguiti con molta lentezza. La via era rimasta solo tracciata e i ponti di legno furono rifatti in muratura assai tardi. Incentivati dal Municipio, i lavori ripresero alacremente e in pochi anni la lunga arteria stradale fu prolungata fino all’Infrascata (odierna via Salvatore Rosa) e re-intitolata a Vittorio Emanuele, primo re d’Italia. La strada, che da un lato rivestì una funzione urbanistica di raccordo di tutti i principali percorsi collinari trasversali che su di essa confluivano (calata San Francesco, pedamentina di San Martino, salita Cacciottoli, salita Sant’Antonio ai Monti, salita del Petraio, salita Santa Maria Apparente) ne operava dall’altro un taglio netto, spezzando la loro natura di collegamenti collinari. La strada già era riconosciuta anche per la sua notevole valenza paesistica, sancita con il regio rescritto del 31 maggio 1853 che vietava ogni costruzione che ostacolasse la vista della città e del golfo.

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I percorsi verticali di Napoli

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Informazioni tesi

  Autore: Giovanni Postiglione
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli
  Facoltà: Lettere
  Corso: Conservazione dei Beni Culturali
  Relatore: Maria Raffaella Pessolano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 113

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collegamenti stradali
pedamentine
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