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Martiri palestinesi sulla stampa italiana, tra prima e seconda Intifada. La narrazione del conflitto e le reazioni pubbliche della politica italiana

L’ascesa politica di Hamas

La storia dell’ascesa di Hamas nell’ambiente politico palestinese inizia durante la prima Intifada. Pochi giorni dopo lo scoppio delle manifestazioni, i membri guida della Fratellanza Islamica si incontrarono a Gaza per discutere delle strategie da utilizzare al fine di canalizzare i sentimenti nazionalisti e religiosi dell’insurrezione, assicurando la continuazione delle dimostrazioni pubbliche. Come primo atto, il gruppo guidato da Ahmad Yasin, il fondatore del centro islamico di Gaza, diffuse un comunicato chiamando la gente a ribellarsi all’occupazione israeliana: era il primo “leaflet” di Hamas. La Fratellanza Islamica infatti, nel partecipare ad una rivolta propriamente laica come l’Intifada, doveva trovare una scappatoia per non compromettere il futuro del movimento, costruito con tanti sacrifici personali, in caso di fallimento. La soluzione venne da un’idea dello Sceicco Yasin, che propose l’istituzione di un’organizzazione parallela alla Fratellanza Islamica, Hamas, che si sarebbe presa la responsibilità di partecipare all’Intifada. In questo modo la Fratellanza avrebbe potuto rinnegare la sua vicinanza ad Hamas in caso di esito negativo, e reclamarla in caso di esito positivo. In pratica, la fondazione di Hamas da parte della Fratellanza, fu un’operazione analoga alla fondazione dell’ UNL da parte dell’Olp (Abu-Amr 1993, 11).
Le strategie, gli obiettivi, e l’ideologia di Hamas sono specificati nel suo statuto diffuso il 18 agosto 1988, che contiene la filosofia del movimento, la sua posizione sui problemi della palestina, e sull’Islam. Per quanto riguarda la Palestina, lo statuto afferma che:
La terra di palestina è un waqf, di tutte le generazioni musulmane fino al giorno della resurrezione. Non è giusto cedere ogni minima parte di essa (articolo 11). Nell’opinione di Hamas, la soluzione del problema palestinese resta nella distruzione dello stato di Israele e nello stabilimento di uno stato islamico al suo posto. Ci sono i palestinesi, gli arabi e gli islamici, ciascuno dei quali deve avere il suo specifico ruolo nella lotta contro Israele (Ibidem, 12).
Per quanto riguarda iniziative o negoziati di pace, lo statuto afferma che:
Quelle che sono chiamate risoluzioni pacifiche e conferenze internazionali per risolvere la questione palestinese, sono tutte in contrasto con la dottrina di Hamas, perché cedere ogni parte della propria patria è come cedere parti della propria fede religiosa (articolo 13). Non c’è soluzione al problema palestinese se non la Jihad, perché se un nemico occupa delle terre musulmane, la Jihad diventa obbligatoria per ogni musulmano (articolo 15). Quindi, tutte le iniziative di pace sono una perdita di tempo e un’atto di assurdità (Ibidem, 12).
Lo statuto, riferendosi inoltre al proprio rapporto con organizzazioni laiche, descrive l’Olp come “padre, fratello, parente, o amico”, e sottolinea il fatto che i due movimenti hanno un destino e degli obiettivi comuni. Tuttavia, Hamas critica il corso secolare dell’Olp e la sua leadership, perché sostiene la formazione di uno stato palestinese che possa coesistere con quello ebraico (Biancani 2006, 51). Infatti, il movimento islamico condannò ripetutamente il riconoscimento delle risoluzioni 242-338 dell’ONU, e protestò violentemente contro il processo di pace iniziato a Madrid.
Gli accordi di Oslo furono la tappa finale nel sancire la definitiva rottura tra la componente laica e quella religiosa del movimento di liberazione palestinese. La firma della Dichiarazione di Principi diede all’Olp una forte popolarità nel breve termine, che avrebbe però dovuto concretizzarsi con il definitivo ritiro dell’esercito israeliano, mai completatosi. Ciò facilitò ad Hamas la costruzione di un largo fronte anti-Arafat, e l’inizio della politica degli attentati terroristici contribuì a rafforzare questo scopo. L’ANP era infatti responsabile del rispetto della legge sul proprio territorio, e la difficoltà nel fermare l’ondata di martiri suicidi si tradusse nell’aumento di posti di blocco e misure anti-terrorismo adottate unilateralmente da Israele: misure che rendevano la vita impossibile ai palestinesi. Inoltre, quando Arafat ebbe il coraggio di ordinare arresti e di sparare sui militanti di Hamas, egli fu fischiato dalla folla e la sua popolarità politica ne uscì molto ridimensionata.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Martiri palestinesi sulla stampa italiana, tra prima e seconda Intifada. La narrazione del conflitto e le reazioni pubbliche della politica italiana

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Informazioni tesi

  Autore: Lorenzo Amati
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Marcella Emiliani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 253

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