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Il caso russo-ceceno: autodeterminazione, diritti umani e prospettive della repubblica ribelle

L’ultimo decennio; guerra, terrorismo e la “normalizzazione”di Putin

Dopo l’elezione di Maskhadov a presidente, la condizione di precaria indipendenza della Repubblica Cecena d’Ichkeria fu ulteriormente messa in discussione da fattori endogeni ed esogeni. In primo luogo il potere di Maskhadov era fortemente limitato dalla frammentazione clanica della società e ancor di più dal peso di alcuni comandanti di rilievo (tra cui Šamil Basaev), nella lotta anti-russa, i quali erano influenzati da un islamismo radicale finanziato dall’Arabia saudita (predicazioni wahabite) fortemente in contrasto con il tradizionale islam caucasico diffuso e radicato grazie all’opera delle confraternite Sufi.
Il fondamentalismo islamico è stato e continua ancora oggi ad essere una potente benzina che in Cecenia alimenta costantemente il fuoco della violenza. In Cecenia, ma anche nel Dagestan, come già detto, sono molte le organizzazioni politiche e i gruppi armati che fanno riferimento all'Islam; il gruppo fondamentalista che negli ultimi anni ha acquisito maggiore potere economico e militare nella zona del Caucaso e' appunto quello degli "wahhabiti", che devono il loro nome alla setta islamica puritana della penisola arabica fondata nel XVIII secolo dal predicatore Mohamad Ibn Abdelwahhab. I wahhabiti del 2000 sono dei gruppi armati che hanno avuto tra i loro leader il già citato Šamil Basaev e Amir Khattab, due capi militari che dietro il loro fondamentalismo religioso, hanno nascosto, cosi come oggi fanno i nuovi leader ancora poco noti, interessi inconfessabili legati ad attività illecite.
Inoltre le trattative sullo status della Cecenia, ancora da definire, si erano di fatto arenate. Mosca aveva escluso, più per ragioni politiche che economiche (almeno secondo le motivazioni fornite) la secessione della Repubblica Cecena D’Ichkeria.
È legittimo pensare che la Federazione russa abbia visto, e veda oggi, nella concessione dell’indipendenza alla Cecenia una sorta di motore capace di accendere ulteriori pretese indipendentistiche delle vicine popolazioni, con la conseguente disgregazione del territorio. Si rischierebbe di dar vita così all’effetto domino.
La Russia offriva alla Cecenia uno status di ampia autonomia, ma che veniva fondamentalmente ritenuto inaccettabile dalla dirigenza cecena dopo una guerra sostanzialmente vinta.
Di fronte al rischio della secessione e “dell’effetto domino”, a Mosca si decise nuovamente di intervenire militarmente, dando cosi avvio al secondo conflitto russo-ceceno.
Queste motivazioni, di per sé sufficienti a spiegare un conflitto armato, non sono le uniche.
Nella seconda settimana dell’agosto del 1999 le truppe di Basaev invasero la Repubblica del Dagestan, al fine di creare uno "Stato islamico attraverso un raid militare.
Costretti inizialmente a ritirarsi, gli uomini di Basaev compirono un altro fallimentare tentativo appena un mese dopo. Il Presidente Maskhadov ruppe pubblicamente i legami con Basaev, ma neanche per il Cremlino rimase un interlocutore con cui trattare, piuttosto un criminale da eliminare.
Pochi mesi più tardi, esattamente nell'autunno del 1999, una serie di attentati dinamitardi sconvolsero le città di Volgodonsk, Buinaksk e Vladikavka nel corso dei quali persero la vita almeno 250/300 persone. Le esplosioni vennero immediatamente attribuite a"terroristi ceceni", senza peraltro presentare “prove convincenti”.
Sulla base di tutto questo, la macchina militare russa si rimise in moto, con un andamento molto più marcato e deciso di quello del conflitto precedente.
Sul fronte bellico, sostanzialmente, le operazioni furono sempre le stesse; occupazione del territorio, bombardamenti continui e massacri, violenti contrattacchi della resistenza cecena.
Ad ogni modo, la conquista del territorio e la fermezza (o brutalità) delle operazioni furono fondamentali per la rielezione di Vladimir Putin a Primo Ministro nel marzo del 2000.
Durante la seconda occupazione militare in Cecenia, la Russia come già detto, rifiutò di trattare non solo con gli estremisti di Basaev, ma anche con l’unico vero legittimo leader del popolo ceceno, Aleksandr Maskhadov, considerato anch’egli un nemico della patria, complice di Basaev negli attentati, e consapevole delle operazioni militari in Dagestan.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il caso russo-ceceno: autodeterminazione, diritti umani e prospettive della repubblica ribelle

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Gabriele Pulvirenti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Daniela Fisichella
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 98

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