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Questioni aperte in tema di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche

Il principio di laicità

Il Protocollo Addizionale alla legge n. 121 del 1985, di ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede − prescrivendo che, “si considera non più in vigore il principio originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della Religione cattolica, come la sola Religione dello Stato Italiano”, con chiara allusione all’art 1 del Trattato del 1929 − ha operato una scelta confessionale, superando la statuizione dell’art. 1 dello Statuto Albertino del 4 marzo 1840, per il quale “la Religione Cattolica, Apostolica e Romana era la sola Religione dello Stato”.
Da siffatto principio deriva il fatto che, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche in Italia, è inquadrato in un complesso normativo caratterizzato dalla laicità dello Stato e rispettoso del pluralismo religioso, desumibile dal testo di cui all'art. 9, n. 2 della legge n. 121 del 1985.
Nella legislazione positivamente volta a disciplinare il fenomeno religioso, non è quasi mai dato incontrare un riferimento esplicito al principio di laicità, non soltanto per le fonti della legislazione ordinaria, ma anche per l’enunciazione dei principi costituzionali espressamente intesi a definire, sia l’attitudine dello Stato rispetto al fenomeno religioso, sia le libertà ed i diritti fondamentali dei cittadini e dei gruppi in tema di religione e di interessi religiosi. Quanto ai rari casi in cui le norme del diritto positivo, segnatamente di rango costituzionale, operano un richiamo espresso al principio di laicità, i relativi enunciati paiono definire più un carattere inerente alla forma politica o al modo d’essere complessivo dello Stato, che non un principio o criterio normativo specifico per il settore dell’ordinamento che attiene alla disciplina del fenomeno.
Proprio con riferimento all’attitudine dello Stato rispetto alle credenze e alle confessioni religiose, il principio di laicità è stato storicamente teorizzato e di volta in volta osteggiato o sostenuto; e proprio sotto questa sua peculiare angolazione che è stato autorevolmente sostenuto, che la laicità si è imposta in tutte le legislazioni moderne, di cui il relativo valore o principio sarebbe da situare tra le forze che più significativamente e concretamente hanno inciso nell’esperienza giuridica positiva contemporanea.
L’attenzione al tema della laicità nell’ambito della ricerca giuridica, quando vi è stata, si è espressa essenzialmente in due direzioni; per un verso secondo un intento classificatorio, volto cioè all’astratta definizione di modelli tipologici di Stato, e, dall’altro, nel tentativo di definire un’altrettanta astratta nozione o essenza giuridica del principio di laicità dello Stato.
È mancata pressoché interamente una lettura del diritto ecclesiastico, quale settore dell’ordinamento positivo, e una conseguente elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale intesa a verificare la sussistenza, soprattutto nel vigore della Costituzione Repubblicana, di principi e norme riconducibili alla laicità statuale, tali da consentire ed eventualmente di configurare la laicità stessa come specifico criterio o parametro ermeneutico del diritto vigente.
In merito a ciò la Corte Costituzionale con la sentenza n. 203 del 12 aprile 1989, investita del giudizio di costituzionalità della nuova disciplina di derivazione pattizia in tema di insegnamento religioso cattolico nella scuola pubblica, ha iscritto nella tipologia dei principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, il valore o principio della laicità dello Stato, reputando che esso integri uno dei profili della forma di Stato, delineata nella Carta Costituzionale della Repubblica.
Secondo la Corte, il principio di laicità, che emerge dal combinato disposto degli art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, non significa indifferenza dello Stato di fronte alle religioni, bensì garanzia di tutela alle richieste concrete della coscienza civile e religiosa dei cittadini, in un contesto dove i pubblici poteri debbono assicurare la libertà di religione in un regime di pluralismo confessionale e culturale. Questa definizione, che comunque rimane aperta, contiene alcune indicazioni interessanti sulla concezione di laicità tipica della tradizione italiana, anche se oggi in forte discussione.
La Corte afferma che l’assetto fondante della Repubblica è laico, e che la ratio dell’art. 9 punto 2 è fondata sull’interpretazione valoriale delle norme costituzionali, che si riflette, a sua volta, sulle norme dispositive in tema di insegnamento della religione cattolica. A tal stregua, la Corte reputa che la Costituzione è laica, e che l’insegnamento della religione deve essere un valore, una conferma dell’aconfessionismo di Stato e del pluralismo religioso, poiché un insegnamento religioso valoriale è legittimato a livello culturale e personale, senza implicazioni di legittimazione di stampo confessionista o di imposizione di stampo totalitario.

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Questioni aperte in tema di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche

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Informazioni tesi

  Autore: Veronica Di Lorenzo
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Catania
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Andrea Bettetini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 121

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