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Fattori psicosociali nei processi decisionali inclusivi

Outreach e Camminate di quartiere

Letteralmente “raggiungere fuori”, l’outreach è un metodo particolare di ascolto, la pratica “dell’andare a cercare, consultare le persone piuttosto che esse vengano da noi” (Nick Waters, 2000). Ci si allontana dalla classica immagine dello sportello dell’ufficio pubblico dove ci si reca entro determinati orari e giorni, dove fare una lunga coda per poter parlare con un impiegato attraverso una vetrata che impedisce l’incontro diretto.

Non è più il cittadino che si reca allo sportello, ma è l’istituzione che si muove verso il cittadino. La metafora usata da Bobbio è proprio quella della montagna che va da aometto (2004). Tutto questo adattandosi ai loro tempi e ai luoghi di chi vi partecipa. Si riesce in questo modo a far fronte all’impossibilità di partecipare dove, però, c’è la volontà. Ritengo sia un fattore positivo riuscire a combinare tutti questi fattori, ma è anche un compito arduo da parte degli organizzatori e promotori.

Non è certo semplice conciliare il tutto e risulta dispendioso per la pubblica amministrazione “inviare” il proprio personale sul campo. Si spazia veramente tra molti metodi, quali:

- la distribuzione di materiale informativo nelle case oppure direttamente alle persone in situazioni di aggregazione (mercati, assemblee, negozi, ecc.);
- gli articoli su giornali locali, spot informativi su radio e tv;
- gli interventi informativi e di scambio mirati nell’ambito di riunioni di specifici gruppi (ad esempio, una bocciofila, un centro sportivo, un’associazione ricreativa);
- le strutture mobili (caravan, camper, container) possono essere utilizzate come uffici mobili per istituire anche a livello simbolico la presenza sul campo e garantire la possibilità di una consultazione iniziale;
lattivazione di punti di riferimento in loco.

I primi due punti possono essere piuttosto fallimentari; i cittadini potrebbero essere infastiditi e gettare gli eventuali depliant distribuiti senza dare a quello che viene esposto. L’ipotesi di punti di informazione o caravan, container, dove creare un rapporto diretto con il cittadino, è molto costosa. Sono strutture da dover finanziare, ma anche altro personale da dover pagare.

Una degli esempi classici della tipologia di ascolto attivo è la camminata di quartiere. In genere gli specialisti, gli esperti lavorano e si focalizzano maggiormente sui dati e su altissime pile di carte e fascicoli. In questo caso invece, si cerca di andare oltre a quello che ci viene scritto approfondendo aspetti che sono meno superficiali.

Essenzialmente consiste in una o più camminate durante le quali un piccolo gruppo di residenti (dai 10 ai 30 componenti) guida gli esperti e i funzionari in un giro dell’area di cui si vuole discutere. Si trattano argomenti quali viabilità, piste ciclabili, zone residenziali, attività produttive e parcheggi, ma non solo.

È un buon momento per poter esprimere i propri dubbi e incertezze nei confronti della pubblica amministrazione e avere una risposta immediata. È importante riuscire ad instaurare un buon rapporto di reciprocità, escludendo relazioni di dominanza-dipendenza, senza che nessuno si senta superiore o inferiore all’altro. Il futuro del quartiere non sta solo nelle mani dei professionisti.

La competenza degli abitanti, anche se non professionale e tecnica, viene valorizzata e riconosciuta come fondamentale proprio perché più vicini alla realtà. Essi quotidianamente vivono la zona, ci lavorano e conoscono sicuramente meglio di chiunque altro gli aspetti critici e le necessità delle persone.

In questo modo si ha la possibilità di parlare pure con i passanti, senza restringere il campo di opinioni alle sole guide, ma a volte capitano incontri poco piacevoli quali i comitati del no. Sono anch’essi rappresentanza di una parte della popolazione, quindi utili per poter avere un’immagine ancora più completa della realtà. Per quanto difficili da affrontare data la loro ostilità verso nuovi progetti e caparbietà nei loro obiettivi, sono da tenere in considerazione e da ascoltare.

La passeggiata è solo l’inizio del processo decisionale, ma è un momento che riesce a costruire e ad ampliare la rete di soggetti locali coinvolti e a creare un clima di collaborazione ottimo tra gli stakeholders. Importante che ci sia una fase informativa preliminare intensa, diffondendo sul territorio l’invito a partecipare alla camminata che finirà poi in un luogo di riunione dove, generalmente, è presente un rinfresco. Non è un modo per rilassarsi e fare una pausa, bensì un’ulteriore occasione per continuare la
conversazione, fissare i successivi step e idee.

In questo modo si fa fronte agli ostacoli che spesso impediscono i soggetti di partecipare a riunioni in orari impossibili perché spesso lavorativi. Si concilia il voler partecipare al poter partecipare che spesso non coincidono, eliminando costi di tempo. Infatti queste camminate sono organizzate in base agli impegni lavorativi e personali delle guide stesse: sono i funzionari e i tecnici ad andar incontro ai semplici cittadini, spetta a loro spostarsi sul luogo interessato tra la gente interessata.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Fattori psicosociali nei processi decisionali inclusivi

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Odinelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze dell'economia e della gestione aziendale
  Relatore: Chiara Guglielmetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 59

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Parole chiave

action planning
camminate di quartiere
confronto sociale
democrazia deliberative
giurie cittadine
groupthink
identità sociale
inclusione
open space technology
outreach
partecipazione
planning for real
planungzelle
polarizzazione
stakeholders

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