Il panico: un approccio integrato

Se il rapporto tra psicologia e società è indissolubile e ogni epoca storica ha intrinseco un disagio psichico, intimamente legato ai trend culturali verso cui tende, il panico sembra esprimere il dolore del nostro tempo.
Un dolore indefinito, che sfugge alle categorizzazioni e che assume tratti fortemente narcisistici.
Il presupposto per la comprensione di una qualsivoglia psicopatologia non può non essere il ricorso ad un’integrazione dei diversi domini della conoscenza sui fenomeni mentali.
Una comprensione integrata implica il rifiuto dei limiti di un orientamento esclusivamente medico e, parimenti, invita a non cadere in una prospettiva che privilegi unicamente o la dimensione intrapsichica o il contesto socioculturale. Nel panico sono implicate sia dinamiche squisitamente psicologiche, sia reazioni biologiche e fisiologiche.
Cercare una causa primaria di un processo così multiforme, complesso ed interattivo come il panico può rivelarsi fuorviante.
Altrettanto fuorviante sarebbe limitarsi a un’eziopatogenesi biologica e neurofisiologica. E’ necessario travalicare la condizione organica, senza dimenticarla, per considerare la dimensione psicologica adeguatamente.
Fatte queste premesse e lungi dal voler proporre modelli causali della patogenesi dell'attacco di panico, che deve essere al contrario trattato come esempio di complessità e polimorfismo dei sintomi e delle origini, mi permetto di far luce su un possibile tragitto relazionale e psicodinamico che può caratterizzare le persone afflitte da questo disturbo.
La clinica ci informa che la ricognizione anamnestica dell'infanzia delle persone che soffrono di attacchi di panico mette in luce una precoce comparsa di un’ansia esagerata con conseguente sensazione di inadeguatezza e inferiorità.