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Esistenza e alterità

Coappartenenza tra Essere e uomo

Lo Heidegger della “svolta” pensa una relazione di appropriazione reciproca tra Essere e uomo che è propria di entrambi perché è ciò che caratterizza ambedue in modo originario e strutturale. Da un lato infatti l’uomo è l’unico ente a rapportarsi all’Essere, sia al proprio sia a quello altrui e a quello in generale; dall’altro lato l’Essere nel suo accadere e dispiegarsi storico non può fare a meno del riferimento all’uomo.
In questo periodo Heidegger riprende un concetto che era centrale in Meister Eckhart: Gelassenheit, abbandono. Ricorrendo a esso l’autore pensa tanto all’abbandono alle cose, al loro rivelarsi, quanto all’abbandono delle cose, al distacco da esse per aprirsi all’evento dell’Essere: coinvolto dal rapporto con l’Essere, l’uomo può solamente abbandonarsi a questo rapporto stesso. Gelassenheit quindi può esprimere un’etica non oggettivante e aperta all’autentica manifestazione di altro perché indica quel comportamento che, al di là di ogni volere, predispone l’uomo all’esperienza di rapporti sempre nuovi.

Anche M. Ruggenini osserva come con la “svolta” trovi finalmente spazio, nel pensiero di Heidegger, una dimensione “differenziale” che pensi il mondo come spazio delle cose e degli oggetti e che lo emancipi dallo sfondo soggettivistico di Sein und Zeit: si tratta della dimensione di un’alterità irriducibile alla soggettività, che tuttavia può essere pensata solo nella misura in cui si relaziona con l’esistenza finita. Entro il pensiero della “svolta” che è pensiero della differenza tra Essere ed ente, l’uomo trova se stesso fuori di sé, nell’altro che è solo in virtù dell’ek-sistenza che si rapporta a esso. L’uomo ek-siste a partire dall’alterità dell’Essere in vista del proprio aver da morire: il mortale esiste fintanto che la morte si trattiene, ma nel ritrarsi della morte è l’alterità che viene a nascondersi in quanto tale e a “risparmiare” l’uomo. Contrariamente a Sein und Zeit la morte compie ora l’esperienza dell’alterità a cui l’uomo deve la propria esistenza e la propria finitezza: che l’uomo esiste in relazione all’altro significa che non l’uomo è finito perché muore, bensì muore perché è finito, così che la morte non equivale all’annichilimento del mortale, ma piuttosto ne compie la finitezza rispetto all’alterità ineludibile.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Esistenza e alterità

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Informazioni tesi

  Autore: Valentina Severin
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia teoretica, dell'arte e della comunicazione
  Relatore: Mario Ruggenini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 204

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