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L'export del vino italiano in Giappone

Il vino italiano e il Giappone

La prima curiosità cui ho cercato di dare risposta nel condurre le interviste riguardava i motivi che avevano spinto gli intervistati a rivolgersi verso un Paese come il Giappone, percepito da molti così diverso. Per la maggior parte delle aziende italiane, la scelta del Giappone è stata dettata dalla “costante ricerca di nuovi mercati e di nuove possibilità di sbocco per i propri prodotti” (Sorelle Bronca). Il Giappone rappresenta un “mercato strategico ed è di riferimento per tutta l’Asia e per il mondo” (Masi). In alcuni casi, invece, sono stati gli importatori giapponesi a prendere l’iniziativa e contattare i produttori, come è successo per Arturo Vettori. L’inizio dell’avventura in Giappone varia da azienda ad azienda: alcune sono nel mercato da molto tempo (Masi, Sorelle Bronca), altre invece soltanto da 2 o 3 anni.
Salvo alcune eccezioni, l’export verso il Giappone in genere non rappresenta che “una minima percentuale” (Vettori) nel fatturato dell’azienda, compresa tra il 2 e il 4 per cento.
Data la peculiarità del mercato, mi sono fatta spiegare in che modo lo si possa penetrare e quali siano le figure chiave per riuscire nell’impresa. Per prima cosa bisogna considerare gli importatori/distributori in modo diverso dai ristoratori.
I primi sono giapponesi (per la stragrande maggioranza) e lavorano per aziende giapponesi: infatti in Giappone “non ci sono aziende italiane importatrici o distributrici, ma solo agenti italiani che fanno da interfaccia tra il produttore italiano e l’importatore/distributore giapponese” (sommelier). Le dimensioni di queste aziende variano considerevolmente anche a seconda del segmento coperto (distribuzione o importazione, nicchia o grande pubblico) e dell’attività svolta: alcune sono specializzate nell’importazione di prodotti italiani, dalla moda all’alimentare, altre invece si concentrano sull’alimentare, ma coprono tutta l’area europea – non solo l’Italia –, se non addirittura il mondo intero. La decisione di importare vini italiani deriva spesso da motivi personali: molti degli intervistati confessano un vero e proprio amore per lo stile di vita e l’eredità storico-culturale italiana, peraltro condiviso da molti giapponesi e testimoniato dalla quantità di turisti nipponici che attraversa il continente per venire in Italia. Spesso gli intervistati sono stati nel nostro paese per un periodo più o meno lungo, hanno amicizie italiane (Nao Fujii) e prima di ricoprire la posizione attuale hanno lavorato in enoteca (Vitners, Hiroshi Magami di Yamaya) o hanno seguito un qualche corso di specializzazione in Giappone. Alcuni hanno passato addirittura anni in Italia, dove hanno studiato come sommelier o chef, imparando la lingua e le abitudini di vita e alimentari, e decidendo poi di impegnarsi per portare tutto ciò al Giappone ed ai Giapponesi. È il caso del signor Shigeru Hayashi di Eataly (sommelier diplomato all’Accademia Italiana) e Junji Ayuta di Island Food (chef diplomato presso l’Istituto Alberghiero di Ostia).
Altro discorso vale invece per gli italiani che lavorano nel campo della ristorazione in Giappone. “Ci sono in media 3000 ristoranti italiani a Tokyo, e ne aprono e chiudono ogni giorno” (Ernesto Stefani): anche se “la maggior parte dei ristoranti è gestito da giapponesi” (sommelier), almeno quelli più famosi a Tokyo sono ancora di proprietà di alcuni coraggiosi chef o sommelier che si sono ritrovati in Giappone per le circostanze più diverse (Elio Orsara, Ernesto Stefani, sommelier).
Questi si sono ormai integrati nel paese (vi sono da almeno 10 anni) , ed hanno aperto o lavorano nel ristorante soprattutto per mantenere in vita un pezzo di Italia anche in un paese così diverso e lontano dal nostro.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'export del vino italiano in Giappone

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Durante
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Economia
  Corso: Commercio estero
  Relatore: Giovanni Favero
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 139

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