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Pratiche e rituali del consumo di caffè: il caso Lavazza

I caffè e gli italiani

Niente come una buona tazza di caffè può far ricordare agli italiani la loro Patria. Se si trovano a viaggiare all’estero cercano disperatamente un espresso il cui gusto si avvicini, il più possibile, a quello che sono soliti bere in Italia. Gli italiani amano parlare di caffè come di qualcosa che li appartiene dimenticando che sono altre le nazioni che l’hanno introdotto, così come altre sono quelle che lo producono e lo distribuiscono. E in egual modo sembrano scordare che vi sono differenti modi di preparare il caffè, o meglio, pur essendo a conoscenza dell’esistenza del caffè alla turca, di quello solubile americano, del caffè lungo francese, ritengono che il solo modo accettabile e in grado di valorizzarne alla meglio il gusto sia il loro; è cioè il caffè espresso, pur non disdegnando il caffè preparato in casa con la così detta moka. Essi hanno fatto del termine “espresso”, derivante dalle macchine per prepararlo e “moka”, dalla città yemenita in cui se ne ricava una qualità pregiata, due sostituti del sostantivo caffè. La macchina per il caffè espresso nasce all’inizio del secolo scorso in primo luogo per rispondere alle esigenze dei bar che, sempre più frequentati, necessitavano di velocizzare i tempi, in secondo luogo, per motivi economici. Si cercava di realizzare quel modello di macchina che permettesse di produrre un caffè di buona qualità con la minima quantità di polvere. La schiuma cremosa, tipica del nostro espresso, era in realtà un sottoprodotto della lavorazione che incredibilmente riuscì a diventare un tratto distintivo e molto apprezzato di questo metodo di preparazione. A ragion del vero i primi a brevettare, nel 1843, una macchina che permettesse all’acqua di fluire attraverso il caffè, furono i francesi, il cui prototipo fu rivisitato e riprodotto dagli italiani che se ne assunsero presto il merito. La versione casalinga del caffè, come oggi la conosciamo, invece, nasce nel 1933, anno in cui Alfredo Bialetti introdusse nel mercato la prima moka.
Un’altra credenza bizzarra tipicamente italiana, sta nell’attribuire alla città di Napoli il primato qualitativo mondiale di questa bevanda, senza sapere che fu la miseria a spingere il popolo napoletano a trovare un’alternativa ingegnosa al comune caffè che per tutto il 1800 rimase un bene di lusso. I napoletani, non potendosi permettere le leggere tosature dell’Arabica, optarono per la qualità Robusta, modificandone però le caratteristiche negative fino a farle diventare pregi apprezzati ovunque.
Quel che si sa per certo è che oggi il caffè è per la maggioranza degli italiani un vero e proprio stile di vita. Ben il 56% dichiara di essere solito sorseggiare caffè sia a casa che al bar e in media i consumatori italiani ne bevono almeno una tazzina al giorno. Il mercato italiano propone tre diversi categorie di caffè: normale, decaffeinato ed istantaneo ad ognuna delle quali corrispondono ben definiti consumatori che si dicono poco disposti a cambiare la tipologia prescelta per un’altra (fonte Plazanet 2006). Il caffè oltre ad essere un fenomeno culturale, rappresenta per il popolo italiano uno specchio che offre il riflesso di ciò che siamo. Il binomio caffè - Italia è da sempre spunto di conversazione all’estero. Circolava qualche tempo fa una vignetta sulle abitudini italiane ai bar. La stessa domanda: “Desidera un caffè?” veniva formulata, prima in una qualsiasi città europea e poi in Italia. Nel primo caso tutti i presenti rispondevano con un semplice sì, nel secondo caso la risposta diventava invece più fantasiosa e personalizzata: “macchiato caldo” , “ macchiato freddo”, “in tazza grande”, “corretto”, “ senza zucchero” e via dicendo. Gli italiani sono senza dubbio un popolo complicato che fa di una bevanda, che è sinonimo di amicizia e convivialità, un simbolo nazionale ma richiama l’individualità nelle differenti versioni proposte. Altre specificità sono legate alle diverse città italiane. A Trieste si beve il “caffè nel bicchierin”, a Roma un “genovese” è un caffè macchiato con cacao, a Napoli esiste l’usanza del “sospeso” che consiste nel pagare due caffè, uno per se e uno per la prossima persona che lo chiederà.
In conclusione, niente meglio del caffè saprebbe fornire l’immagine dei vizi e delle virtù degli abitanti del “Bel Paese”. Fantasiosi e creativi ma al contempo caotici e disordinati.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Pratiche e rituali del consumo di caffè: il caso Lavazza

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Informazioni tesi

  Autore: Clara Prandi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM)
  Facoltà: Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
  Corso: Relazioni pubbliche e pubblicità
  Relatore: Luca Pellegrini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

FAQ

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