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Il razzismo e lo straniero

Lo straniero come minaccia e dono

La presenza dello straniero è sempre stata caratterizzata dal sorgere di interrogativi e inquietudini. L’enigma è la chiave per capire il primo impatto che si ha con l’altro: questa relazione non potrà che essere costitutivamente insicura perché la minaccia che si avverte in lui è solo un’altra espressione del suo essere un enigma.
Di fronte a lui si resta costantemente in allarme perché non si può sapere in anticipo come si scioglierà l’equivoco che è in lui e così facendo si arriva a ritenere che quell’equivoco non potrà essere mai compiutamente risolto.
La prima tendenza che si ha verso l’altro è quella di “addomesticarlo”, ricondurlo a dimensioni familiari trasferendo su di lui la tracciatura riconosciuta degli affetti. Ma così facendo non soltanto le distanze non si riducono ma si scopre che il percorso fatto non può appartenergli.
Non vi è, infatti, alcuna famiglia alla quale si può riferire lo straniero, nel tentativo di rendere meno oscuro il discorso del quale è portatore.
La sua peculiare identità è solamente quella di uno straniero, “uno straordinario straniero”. Ciò che si coglie è il fatto che egli è una persona fuori dall’ordinario ma allo stesso tempo si è portati verso questa persona, interessati, spesso impauriti e distanti.
La metamorfosi che conduce dall’enigma allo straniero è un processo che passa attraverso il superamento di ogni cosa ormai scontata, in questo modo si riattiva costantemente l’interrogazione. Lo straniero è ambivalente poiché non si è in grado di accettare e vivere la sua presenza, il suo arrivo come una minaccia. Ma allo stesso modo si avverte che quella minaccia può diventare molto feconda e trasmette qualcosa che inconsapevolmente si aspettava da tempo e di cui non si può più fare a meno. Davanti a lui si ha l’istinto di allontanare la minaccia di cui è portatore, ma se si percepisce questo si va incontro a un necessario depauperamento spirituale. Infatti alla propria ambivalenza si dovrebbe rispondere con altrettanta ambivalenza e non preventiva chiusura. Ciò che nel profondo inquieta è la consapevolezza dell’insuperabilità di quell’ambivalenza e il fatto che essa non dipenda da un equivoco momentaneo e infondato.
A qualunque distanza si pone lo straniero, qualunque sia il grado di familiarità che si viene a creare, in quanto straniero egli apparirà “doppio”: sempre minaccia e dono “non l’una o l’altra cosa, ma l’una cosa proprio in quanto è l’altra”.
Di fronte allo straniero cede ogni possibile linguaggio dell’unicità e si mostra l’insufficienza delle categorie logiche con le quali si è abituati a porsi nei confronti del mondo: la logica e il linguaggio con le quali la vita è organizzata e vissuta quotidianamente. Il rapporto tra vicino e lontano, tra interno ed esterno, tra domestico e sconosciuto non è riconducibile ad un’alternativa sulla base della quale un termine possa escluderne un altro: ogni incognita indica una ricomparsa, e ogni allontanamento è anche a volte un avvicinamento. Lo straniero infatti rimane presente anche quando si pretende di averlo allontanato, non si può prescindere dal suo valore in quanto persona fisica e spirituale che abita il territorio circostante.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il razzismo e lo straniero

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Informazioni tesi

  Autore: Elena Panetta
  Tipo: Diploma di Laurea
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Giuseppe Goisis
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 98

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