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La denuncia dei trattati internazionali

La procedura prevista dagli artt. 65-67 della Convenzione di Vienna del 1969

La procedura prevista dalla Convenzione di Vienna del 1969 per far valere l’estinzione di un trattato che deve essere obbligatoriamente osservata dagli Stati al fine di garantire la stabilità dei rapporti internazionali è la seguente. Lo Stato che invoca uno dei motivi indicati dalla Convenzione stessa come causa di estinzione, deve notificare per iscritto la sua pretesa alle altre parti contraenti indicando la misura proposta nei riguardi del trattato e le ragioni di essa (art. 65 par. 1 e art. 67 par. 1). Se, decorso un termine non inferiore a tre mesi salvo casi particolari di urgenza per cui può essere indicato un termine più breve, non vengono manifestate obiezioni alla notifica iniziale (ovvero quando una controversia nata a seguito di obiezioni sia risolta in senso favorevole al richiedente o quando l’estinzione e il recesso si fondano su apposite clausole del trattato), lo Stato può definitivamente dichiarare, con un strumento comunicato alle altre parti e sottoscritto dal Capo dello Stato, o dal Capo del governo o dal Ministro degli Esteri, o che promana da una persona munita di pieni poteri, che il trattato è da ritenersi estinto (art. 65 par. 2 e art. 67 par. 2). Viceversa, se vengono sollevate obiezioni, lo Stato che intende sciogliersi dall’accordo e la parte o le parti obiettanti devono ricercare e trovare entro dodici mesi una soluzione pacifica della controversia attraverso i mezzi indicati nell’art. 33 della Carta delle Nazioni Unite (negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni od accordi regionali o altri messi pacifici di loro scelta) senza pregiudizio, ovviamente, delle disposizioni eventualmente previste da accordi in vigore tra le parti per la soluzione delle controversie (art. 65 par. 4).
Mancano tuttavia meccanismi obiettivi capaci di sbloccare la situazione di paralisi che le obiezioni della controparte creerebbero. Infatti lo Stato che intende bloccare l’estinzione o impedire che la controparte eserciti il diritto di recesso, deve solo insistere in un atteggiamento negativo, sia riguardo alla pretesa che gli è stata notificata, che ad ogni proposta di pattuire un mezzo di soluzione della controversia esistente. Il problema dei meccanismi di soluzione delle controversie fu uno dei più delicati e difficili che la Conferenza di Vienna fu chiamata a risolvere. Sul piano teorico le procedure più adatte sarebbero state quelle arbitrali o giudiziarie obbligatorie, ostacolate però da un diffuso atteggiamento di insofferenza (soprattutto da parte dei paesi in via di sviluppo e socialisti) verso i meccanismi di tipo giudiziario, sia per la presenza di Governi che hanno una concezione chiusa della sovranità degli Stati, sia per l’ostilità nei confronti di organi internazionali formalmente indipendenti, sia per la preferenza manifestata da molti Governi per soluzioni che consentano loro di avere un diretto controllo degli sviluppi di situazioni controverse, finché non sia accettabile un compromesso. Ma non mancarono in seno alla Conferenza proposte, soprattutto da parte dei paesi occidentali, che prevedevano in ogni caso la giurisdizione obbligatoria della Corte internazionale di giustizia (come quella presentata dalla Svizzera ma respinta a maggioranza). Il contrasto tra le due posizioni portò alla formulazione dell’art. 66. In particolare la lett. b di tale articolo prevede che, se nei dodici mesi seguenti alla data in cui l’obiezione è stata sollevata non è stato possibile pervenire ad una soluzione pacifica attraverso i mezzi indicati dall’art. 33 della Carta delle Nazioni Unite, le parti della controversia possono mettere in moto, indirizzando una domanda al Segretario delle Nazioni Unite, una procedura conciliativa dinanzi ad una Commissione formata nell’ambito delle Nazioni Unite (le cui caratteristiche sono stabilite nell’allegato alla Convenzione) e che non sfocia in una decisione obbligatoria ma in un rapporto finale, fondato sull’esame degli atteggiamenti delle parti e recante conclusioni sui punti di diritto esaminati, avente mero valore di esortazione (tuttavia il suo peso politico e la sua capacità di influenzare l’atteggiamento delle parti non devono essere sottovalutati).
Si deve comunque notare che le norme procedurali enunciate dalla CV costituiscono ‘nuovo diritto’ e dunque vincolano solo gli Stati che l’hanno ratificata. Come sottolineato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee ‘le specifiche disposizioni di natura procedurale in essa contenute non fanno parte del diritto internazionale consuetudinario’ e dunque non vincolano la Comunità.

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La denuncia dei trattati internazionali

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Informazioni tesi

  Autore: Arianna Mazzone
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Seconda Università degli Studi di Napoli
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Scienze giuridiche
  Relatore: Andrea Saccucci
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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