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Green Economy - Un Approccio Strategico

Il rapporto tra sostenibilità ambientale e competitività

La così definita “rivoluzione ambientale” (Hart, 1997) si è sviluppata per più di trent’anni ed ha cambiato notevolmente il modo di operare delle imprese. Tra gli anni sessanta e settanta le imprese rifiutavano di pensare all’impatto che il loro business aveva sull’ambiente. Successivamente, una serie di evidenti problemi ecologici ha portato alla definizione di regolamenti a sostegno dell’ambiente. Molte imprese hanno quindi accettato la loro responsabilità nei confronti dell’ambiente. I prodotti ed i processi produttivi diventano sempre più puliti, e questo appare più evidente nei Paesi industrializzati dove un numero crescente di imprese sta diventando “green”, dal momento in cui ha scoperto che è possibile ridurre l’inquinamento ed aumentare i profitti simultaneamente.
L’aspetto greening del business offre inoltre una grande opportunità: quella di sviluppare un’economia globale sostenibile, un’economia che il pianeta è in grado di sostenere.
Questa tendenza verso l’aspetto “verde” del business è stata indotta dai regolamenti definiti a livello sia europeo sia mondiale per la salvaguardia dell’ambiente. La presenza di regolamenti volti alla sostenibilità ambientale ottiene un grado di accettabilità diffuso ma riluttante. Diffuso perché ognuno desidera un Pianeta vivibile, e riluttante a causa della forte credenza che le regolamentazioni ambientali erodano la competitività. Si tende a pensare che vi sia un trade-off stabile tra ecologia ed economia. Da una parte vi sono i benefici sociali derivanti dai severi standard ambientali. Dall’altra parte i costi privati dell’industria per la prevenzione e la pulizia, costi che portano all’aumento dei prezzi e alla riduzione della competitività. Questa visione statica della regolazione ambientale, nella quale tutto, eccetto il regolamento, è mantenuto costante, non è corretta.
Se la tecnologia, i prodotti, i processi ed i bisogni dei consumatori fossero tutti fissi, in tal caso sarebbe inevitabile affermare che le regolamentazioni fanno accrescere i costi.
Ma le imprese operano in contesti competitivi dinamici dove per sopravvivere ricercano continuamente soluzioni innovative per superare i concorrenti, soddisfare i clienti, e rispettare i regolamenti (Porter, Van der Linde, 1995).
La definizione di standard ambientali può dare l’avvio alla creazione di innovazioni che abbassano il costo totale di un prodotto o accrescono il suo valore. Tali innovazioni permettono alle imprese di impiegare una serie di input – dalle materie prime all’energia alla forza lavoro – in modo più produttivo, e pertanto contrapponendo i costi per il miglioramento dell’impatto ambientale e mettendo fine alla situazione di stallo. Questa cosiddetta resource productivity rende le imprese maggiormente competitive, piuttosto che ridurne la capacità di competizione. Tale concetto apre le porte per una nuova considerazione degli interi sistemi di costi e del valore associato ad ogni prodotto. Le inefficienze di risorse sono maggiormente ovvie entro le imprese nella forma di utilizzazione materiale incompleta e di controlli di processo inadeguati, che risultano nella non necessaria perdita, nei rifiuti, nei difetti e nei materiali di magazzino. Ma ci sono molti altri costi nascosti presenti nel ciclo di vita del prodotto. Il confezionamento scartato dai distributori o dai clienti, o ad esempio le risorse di scarto ed i costi aggiuntivi per rilavorazioni.
I consumatori provocano costi addizionali quando usano prodotti che inquinano o sprecano energia. Le risorse vengono disperse quando i prodotti che contengono materiali riciclabili vengono scartati o quando i clienti pagano direttamente o indirettamente per l’eliminazione del prodotto.
Questa visione ha avuto origine negli anni ottanta con la quality revolution. Inizialmente i manager pensavano che vi fosse un trade-off tra qualità e costi. Il miglioramento della qualità veniva visto come dispendioso perché poteva essere raggiunto solamente attraverso l’analisi e la rielaborazione degli inevitabili difetti che provenivano dai processi.
Alla base di questa visione vi era la convinzione che sia il design del prodotto, sia i processi produttivi fossero fissi. Dal momento in cui i manager hanno ripensato al termine della qualità, essi hanno anche abbandonato questa obsoleta visione. Considerare i difetti come un segno dell’inefficienza di prodotto e di processo e non come un aspetto inevitabile della produzione, è stata una conquista, sulla cui base oggi le imprese mirano a integrare la qualità all’interno dell’intero processo. L’innovazione è la protagonista di questo passaggio perché permette di eliminare ciò che prima veniva visto come un tradeoff stabile (M. Caramazza, C. Carbonaro, C. Carroli, C. Godio, L. Lorenzin, L. Serio; 2008).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Green Economy - Un Approccio Strategico

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Informazioni tesi

  Autore: Simone Scaccia
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Urbino
  Facoltà: Scienze Economiche e Aziendali
  Corso: Marketing e comunicazione per le aziende
  Relatore: Tonino Pencarelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 168

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