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Regolazione e partecipazione pubblica nella gestione del servizio idrico italiano: un confronto con il modello inglese

L’evoluzione della gestione del servizio idrico ed il coinvolgimento del privato

Il servizio idrico è uno di quei servizi di interesse pubblico che nel corso della storia è stato tradizionalmente affidato alla competenza statale. Negli ultimi 30 anni, un po’ ovunque in Europa, sono intervenute delle riforme che hanno reso più sfumato il confine fra le attività statali e le attività di mercato e tale trend ha coinvolto anche gli altri settori di pubblico interesse come energia, trasporti e telecomunicazioni. Come già detto nel capitolo introduttivo, il modello di gestione del servizio idrico può assumere diverse forme a seconda di chi è proprietario degli asset fisici e a seconda di chi è incaricato di fornire il servizio. Tutte le modalità di gestione hanno però un tratto in comune ovvero il crescente coinvolgimento del settore privato, il quale avviene secondo diverse modalità. L’attitudine al coinvolgimento del settore privato è stata particolarmente incoraggiata dalla Banca Mondiale per la gestione del servizio idrico nei paesi in via di sviluppo, ma sia in tali paesi sia in quelli occidentali, non vi è chiara evidenza di performance superiori del settore privato rispetto a quello pubblico (Massarutto, 2004c). Ciò ha contribuito e contribuisce ancora allo scetticismo ed all’opposizione verso il coinvolgimento di tali attori. Cercando di andare oltre le preferenze ed i principi ideologici, vi è una necessità oggettiva di una qualche forma di coinvolgimento del settore privato, senza voler profetizzare una privatizzazione totale e completa. Infatti la gestione del servizio idrico, particolarmente in Italia, è sempre stata una prerogativa locale e delle comunità locali, le quali erano in grado di gestire il servizio con bassi livelli di tecnologia ed expertise. Nel corso delle storia si è passati poi attraverso un modello di gestione più centralizzato basato soprattutto sulla costruzione di grandi infrastrutture per il trasporto della risorsa su lunghe distanze, la costruzione di dighe ed acquedotti: tale fase, che trova il suo momento centrale negli anni ’70, è definita come "fase estensiva" o fase di "strutturalismo idraulico" (Massarutto, 2004c): la logica di tale fase era il trasporto d’acqua, dove essa non fosse presente in quantità o qualità sufficienti, attraverso l’ "estensione" delle infrastrutture esistenti e facendo uso di ingenti capitali pubblici. Non a caso, in questo periodo, soggetto centrale è stato il Ministero dei Lavori Pubblici, il quale interagiva direttamente con le municipalità e, verso la metà degli anni ’70, con le Regioni e le Province a seguito della riforma statale. In questa fase si è sviluppata una "non-cultura" dell’acqua, ovvero essa è stata percepita come infinita, non esauribile, disponibile a basso prezzo e ciò ha sicuramente spinto al peggioramento sia quantitativo sia qualitativo delle risorse idriche nazionali (Goria e Lugaresi, 2004). In tempi recenti si è passati all’interno di una nuova fase, definita come "intensiva": la qualità delle acque ha cominciato a preoccupare, soprattutto a causa degli scarichi nei corsi d’acqua o lungo le coste; la costruzione di nuove ed ingombranti infrastrutture ha trovato un opposizione di tipo finanziario, nel senso della carenza di risorse per far fronte a tali investimenti, ma anche sociale ed ambientale. Il modello "estensivo" è dunque entrato in crisi, anche dovuto alla sempre maggior urbanizzazione che ha amplificato le esternalità, soprattutto ambientali, causate da tal modello di organizzazione. La nuova fase di gestione del servizio idrico in cui siamo entrati è focalizzata sulla gestione integrata delle risorse locali e non più quindi sul loro trasferimento su lunghe distanze; se nel mondo "strutturalista" la risorsa scarsa non è l’acqua, ma il denaro (Barraqué, 1995), nella nuova fase "intensiva" l’accento è posto invece sulla scarsità della risorsa, considerata per lungo tempo abbondante, ed il cui uso deve avvenire ispirandosi a criteri di sostenibilità ed efficienza. A causa della crescente complessità nella gestione del settore, sono stati creati nuovi soggetti per la gestione e l’amministrazione come ad esempio le Autorità di Bacino (Legge 183/1989) o gli ATO (Legge 36/1994).
L’attenzione è dunque spostata sulle necessità di conservazione fisica e biologica delle acque e sul trattamento qualitativo piuttosto che quantitativo, cosa che ha richiesto (e tutt’ora richiede) una maggior complessità del grado di tecnologia richiesta per la costruzione di impianti depuratori e di smaltimento delle acque reflue: controllo della qualità, informazione e prevenzione dell’inquinamento sono diventate le parole d’ordine del nuovo modo di concepire la gestione delle risorse idriche in generale (Massarutto, 2005c). Il cambiamento negli obiettivi della politica idrica ha portato ad un cambiamento nella struttura dell’industria e nel tipo di soggetti coinvolti nella sua gestione.

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Regolazione e partecipazione pubblica nella gestione del servizio idrico italiano: un confronto con il modello inglese

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Informazioni tesi

  Autore: Pietro Baldovin
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Sviluppo Ambiente e Cooperazione
  Relatore: Silvana Dalmazzone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 237

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Parole chiave

gestione
modello inglese
partecipazione pubblica
privatizzazione
regolazione
servizio idrico
servizio pubblico locale

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