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L'identità femminile nel cinema di Antonio Pietrangeli, tra film e immagini pubblicitarie

Antonio Pietrangeli: profilo di un regista con due occhi ben puntati sulle donne

Come è facile evincere dal paragrafo precedente, la maggior parte dei film diretti da Antonio Pietrangeli, per lo meno la maggior parte di quelli effettivamente realizzati, mostra una netta preferenza per l’analisi di figure femminili. Celestina de Il sole negli occhi, le tre automobiliste di Souvenir d’Italie, Francesca di Nata di Marzo, le quattro ex prostitute di Adua e le compagne, Dora di La Parmigiana, Pina di La visita e Adriana di Io la conoscevo bene: tutte protagoniste femminili, osservate attentamente e ritratte con delicatezza e precisione, tutte alle prese con problemi diversi, a volte più grandi di loro, ma tutte decise a non arrendersi, ad affermare se stesse di fronte ad una società che vorrebbe ridurle al silenzio o sospingerle nel ruolo di brave mogli o lavoratrici silenziose e senza pretese (ad eccezione delle tre autostoppiste di Souvenir d’Italie, che rivelano un grado di emancipazione diverso, più superficiale).
E’necessario anche considerare che negli unici due film di Pietrangeli incentrati su protagonisti maschili, Lo scapolo e Il magnifico cornuto, le figure femminili hanno un ruolo fondamentale e un’attenzione da parte del regista tutta particolare. Il protagonista di Lo Scapolo è Paolo Anselmi (un Alberto Sordi in una delle sue interpretazioni migliori), ma tutte le figure femminili che gli ruotano intorno sono rese con incredibile pienezza e attenzione, anche quando restano in scena il tempo sufficiente a descriverle solo con pochi cenni. Esse vanno a formare un catalogo di vari tipi di donne: Carla, la donna che finirà per incastrare Paolo, è perfettamente inserita nel mondo del lavoro, dove si occupa dei suoi affari con responsabilità e in perfetta autonomia e, pur innamorata da tempo di Paolo, è ben decisa a gestire il rapporto a modo suo; Gabriella, la hostess, è autonoma (vive da sola e lavora), ma tutto sommato, quello che desidera è la stabilità di un matrimonio; Anna è proprietaria di una lavanderia, e con la sua loquela manda avanti praticamente da sola l’incontro con Paolo; Catina studia, è istruita, e ci tiene a essere trattata alla pari in fatto di cultura.
Per quanto riguarda Il magnifico cornuto, le critiche a posteriori sono state molto disomogenee tra loro: chi sostiene che Maria Grazia, moglie del protagonista Andrea Artusi, sia in assoluto la meno caratterizzata dei personaggi femminili di Pietrangeli, ridotta a fare la bella statuina e la moglie innamorata per la quasi totalità del film, chi invece l’esatto contrario. Può essere interessante considerare l’altro lato della medaglia: Maria Grazia è a tutti gli effetti una donna molto innamorata del marito (per altro molto più maturo, in termini d’età, di lei) a cui si affianca con fiducia: ma quando inizia a sentirsi sospettata di un tradimento che non ha commesso, prende con decisione in mano la situazione, portando il marito a convincersi della verità, per poi tradirlo senza remore. Maria Grazia, pur personaggio secondario in funzione delle paranoie di Andrea, rivela quindi di essere tutt’altro che una donna passiva.
Anche i soggetti e le sceneggiature di Pietrangeli mai realizzati su pellicola dimostrano la preferenza del regista per l’indagine dell’universo femminile. A titolo d’esempio si possono ricordare due progetti, Le ragazze chiacchierate e Le carmelitane, entrambi molto cari al regista, che non ebbe però mai la possibilità di realizzarli. E’ doveroso però ricordare come molti dei progetti irrealizzati di Pietrangeli, soprattutto nell’ultima fase della sua vita, prevedessero protagonisti maschili (La picaresca, Il duplicatore, Le paure, ecc.): lo stesso Pietrangeli, nella già citata intervista su «Bianco e Nero» del 1967, dichiara la sua intenzione ad analizzare l’universo maschile nei suoi film futuri, ma la sua prematura morte non gli avrebbe lasciato il tempo di farlo.
Alcuni dei film che Pietrangeli realizzò non nacquero da sue idee: La Parmigiana nasce infatti dall’adattamento dell’omonimo romanzo di Bruna Piatti e gli venne proposto dalla Documento Film nel 1962, mentre La visita, inizialmente destinato a Giuseppe De Santis, gli venne affidato dopo che altri impegni lavorativi impedirono al regista inizialmente designato di girare la pellicola. Ciononostante, anche in questi due film è possibile osservare lo stesso atteggiamento del regista nei confronti delle “sue” donne: un’indagine accurata, uno sguardo attentissimo ma onesto. Pietrangeli non ritrae mai personaggi completamente buoni o completamente negativi: il regista osserva attentamente, con un interesse sociologico quasi disarmante, la realtà da cui trae i suoi personaggi (ricordiamo che per la preparazione di Io la conoscevo bene spese molti mesi intervistando le tante aspiranti starlette che giravano intorno al modo dello spettacolo) ed è ovvio che non ne possano nascere né santi né diavoli. Ma quello di Pietrangeli non è uno sguardo di cinica indifferenza, né una sorta di lente di ingrandimento appoggiata sulla realtà: già a partire da Il sole negli occhi, film che lo stesso Pietrangeli tiene a definire neorealista, il suo atteggiamento verso le sue protagoniste femminili assume i toni di un’affettuosa empatia. Le sue donne non sono delle sante, ma vengono apprezzate nei loro difetti; basti pensare alla Francesca di Nata di marzo che è, oggettivamente, insopportabile: è viziata, irresponsabile, immatura, lo stesso Pietrangeli la definisce «un vero castigo di Dio»81, ma è istintivo apprezzarne la determinazione che mette nell’affermare le sue idee, insomma schierarsi empaticamente con le sue convinzioni. Questo vale per tutte le protagoniste dei film di Pietrangeli, un regista capace di non costruire lo svolgimento dei suoi film sui pregi e i difetti dei suoi personaggi, ma di usarli semplicemente come substrato caratterizzante. Pietrangeli sapeva infondere nelle sue opere un tocco invisibile, capace di portare gli spettatori a, si può dire, tifare per le protagoniste, non in funzione dei loro vizi o delle loro virtù, ma della loro essenza di donne a tutto tondo, reali. Qui sta la maestria di Pietrangeli, essere un regista capace di osservare il mondo per quello che è, non con distacco, ma con una forma di sincera empatia per uomini e donne come lui, e di trasferire questa empatia ai suoi spettatori. Egli stesso lo afferma: «Io non sono un sociologo. [...] Io ho cercato non tanto di osservare al microscopio, con l’occhio impersonale del ricercatore, un personaggio siffatto, quanto di avvicinarmi a lui, di capirlo, di tendergli una mano (forse egoisticamente, non so se per dare o ricevere aiuto) con tutto l’ottimismo possibile in una situazione come l’attuale».

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L'identità femminile nel cinema di Antonio Pietrangeli, tra film e immagini pubblicitarie

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Guella
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Roberto Della Torre
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 244

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