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Il Presidente del Consiglio nell'evoluzione della forma di governo

Crisi di governo, rimpasto ed assunzione del dicastero ad interim

Alla luce delle previsioni costituzionali e regolamentari precedentemente richiamate, il Governo è tenuto a rassegnare le proprie dimissioni a seguito:
- della mancata concessione iniziale della fiducia, anche se da parte di una sola delle due Camere;
- della successiva interruzione del rapporto di fiducia, a seguito di un voto contrario delle Camere alla questione di fiducia posta dal Governo su una propria proposta;
- della successiva interruzione del rapporto di fiducia, a seguito dell’approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti dell’intero Governo.

Com’è noto, tuttavia, dall’entrata in vigore della Costituzione sino ad oggi l’art. 94 è rimasto sostanzialmente in effettivo, dal momento che:
- nessuna crisi di governo si è mai verificata a seguito dell’approvazione di una mozione di sfiducia;
- soltanto in due occasioni il Governo si è dimesso a seguito di un voto contrario su una questione di fiducia;
- soltanto cinque governi si sono dimessi per non aver avuto la fiducia iniziale.

È invalsa, quindi, la prassi delle crisi di governo c.d. «extraparlamentari», determinate da dimissioni spontanee del Governo (ovvero da dimissioni del Presidente del Consiglio di carattere politico o personale che, comunque, involgono quelle dell’intera compagine governativa) da ricollegarsi in genere a difficoltà politiche interne alla coalizione, dinanzi alle quali il Governo prende atto di non godere più dell’appoggio di una maggioranza in Parlamento.
Nonostante la loro legittimità costituzionale sia stata, in passato, messa in discussione (sostenendosi che il Governo abbia il dovere di presentarsi dinanzi al Parlamento per verificare la sussistenza del rapporto di fiducia), è oggi opinione condivisa che Governo e Parlamento (in quanto organi paritari) abbiano entrambi la possibilità di interrompere autonomamente il rapporto fiduciario.
Ai sensi dell’art. 94 Cost., infatti, è del tutto lecito che il Governo valuti autonomamente la sussistenza della fiducia ed apra la crisi (rassegnando volontariamente le proprie dimissioni) qualora ritenga che il rapporto con le forze politiche della maggioranza sia tale da non consentire l’attuazione del proprio indirizzo politico-amministrativo

È fuori di dubbio, tuttavia, che la prassi delle crisi extraparlamentari, pur non contraria alla Costituzione, sia oggettivamente riduttiva del ruolo delle Camere nelle istituzioni, di fatto relegate in una posizione di spettatrici impotenti delle vicende politiche interne alla coalizione di maggioranza.
Esse si svolgono – per così dire – «al buio», sicché le loro vere cause non sempre sono portate a conoscenza dell’opinione pubblica e ciò, oltre a renderne difficile la soluzione, contrasta con quella esigenza di chiarezza e di pubblicità dell’attività dei governanti che dovrebbe essere una regola inderogabile dei regimi democratici.
Di qui la prassi, sviluppatasi a partire dalla presidenza Pertini (1978-1985), di «parlamentarizzare» le crisi di governo non ricollegabili ad una manifestazione di volontà del Parlamento, attraverso l’invito rivolto dal Capo dello Stato al Presidente del Consiglio dimissionario a presentarsi dinanzi alle Camere per esporre le ragioni della crisi e consentire l’eventuale apertura di un dibattito parlamentare chiarificatore: dibattito non tanto diretto a far rientrare la crisi (già irrimediabilmente aperta), quanto a far sì che in Parlamento i partiti chiariscano la loro posizione in merito, così da assumersi le proprie responsabilità anche di fronte all’opinione pubblica e fornire un quadro più completo della situazione politica in ordine alla formazione del nuovo ministero.
È opinione condivisa, tuttavia, che l’invito presidenziale non determini alcun obbligo giuridico a carico del Governo, trattandosi di una proposta meramente sollecitatoria e non vincolante (con effetti solamente sospensivi del procedimento formativo di un nuovo Governo), alla quale il Presidente del Consiglio (a parte un obbligo di correttezza attinente ai rapporti tra gli organi supremi dello Stato, che gli impone di esaminare la proposta e di dare una sollecita risposta al Presidente della Repubblica) è giuridicamente libero di accedere o meno.

Qualora il Presidente del Consiglio si rifiuti (con adeguate motivazioni) di presentarsi dinanzi alle Camere, il Capo dello Stato deve accettarne le dimissioni, salvo restando naturalmente l’obbligo del Governo dimissionario di rimanere al suo posto fino alla nomina del nuovo gabinetto.
Il Presidente della Repubblica verrebbe, altrimenti, meno al suo primario dovere (consistente nel formare un Governo dotato di piena funzionalità) qualora si ostinasse a voler piegare le resistenze di un Governo dimissionario, cercando di farne un «cabinet malgré lui»: in questo caso, infatti, sarebbe palese l’anomalia di una compagine ministeriale obbligata a rimanere in carica pur avendo raggiunto la convinzione che non sussistano più le condizioni a tal fine indispensabili; e sarebbe, altresì, evidente l’inammissibile ingerenza del Capo dello Stato nel rapporto fiduciario ed in scelte che attengono specificamente alla dialettica tra le forze politiche.
Inoltre, è da tener presente che – in determinate circostanze – un dibattito parlamentare potrebbe essere non solo inutile, ma anche controproducente rispetto alla formazione del nuovo Governo: svolgendosi in presenza di una crisi ormai sostanzialmente aperta ed irreversibile, infatti, potrebbe non solo acuire e pubblicizzare i contrasti tra le forze politiche più direttamente interessate, ma anche pregiudicare le future possibili intese, rendendo di fatto inevitabile lo scioglimento anticipato delle Camere.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il Presidente del Consiglio nell'evoluzione della forma di governo

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Informazioni tesi

  Autore: Stefano Gentile
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Salvatore Bonfiglio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 410

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