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I delitti di bancarotta fraudolenta con particolare riferimento al concorso dell'extraneus

Il concorso dell’extraneus e i reati fallimentari

L’extraneus è potenzialmente uno dei tanti soggetti che hanno concluso sia transazioni commerciali con l’impresa poi fallita, sia svolto ruoli di consulenza in quest’ultima. E’ dunque evidente che un’ingiustificata latitudine punitiva potrebbe costituire un freno al libero flusso dei rapporti economici e alla libera attività d’impresa. Ecco che, allora, ad evitare indebite estensioni della punibilità, si rende indispensabile un’attenta verifica delle specifiche connotazioni dell’azione del terzo, sia in punto di apporto causale, che di elemento soggettivo. Ciò in riferimento, soprattutto, ad alcune insidiose caratteristiche della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale: l’operazione può risalire a molti anni prima del fallimento e non è indispensabile che l’operazione abbia direttamente determinato lo stato di dissesto.

Pertanto, la questione centrale è costituita dalla previa individuazione dei confini tra le condotte integranti, rispettivamente, il concorso di estranei nella bancarotta, il reato di ricettazione fallimentare e la mera connivenza. Si osserva che “i comportamenti capaci di adempiere la fattispecie di concorso in bancarotta fraudolenta e del reato di cui all’art. 232 l. fall. sono, assai spesso, identici tra loro sotto l’aspetto obiettivo. In dipendenza di ciò la dottrina tradizionale, che configura il concorso di persone come un contributo cosciente ad una condotta materiale tipica, si trova in grave imbarazzo al momento di decidere se si abbia o meno un concorso di persone in bancarotta fraudolenta oppure, infine, il reato di cui all’art. 232 l. fall.”.

In pratica, l’imprenditore, che é garante con il proprio patrimonio nei confronti dei creditori, ha nella sua attività innumerevoli rapporti con terzi: acquista e vende, concede e riceve prestiti, effettua pagamenti etc. Come è noto, la esclusione di una delimitazione temporale delle fattispecie di bancarotta, conduce il giudice penale ad un procedere a ritroso nell’esame della vita dell’impresa, alla ricerca di operazioni illecite, cosicché tutte le operazioni poste in essere dall’imprenditore fallito sono sottoposte al sindacato penale, sotto il profilo della salvaguardia del patrimonio dell’impresa. La questione é se, ed a quali condizioni, anche chi ha avuto rapporti con il fallito in tempi non sospetti, per ciò possa concorrere nella bancarotta, quando tali rapporti costituiscono un momento di un più ampio disegno fraudolento dell’imprenditore a danno dei creditori.

Vi è, in primo luogo, un dato normativo che evidenzia i limiti della responsabilità dell’estraneo a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta, che é costituito dal citato art. 232, comma 3, n.2, l. fall. Questo espressamente dispone che “E’ punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque (…) essendo consapevole dello stato di dissesto dell’imprenditore, distrae o ricetta merci o altri beni dello stesso o li acquista a prezzo notevolmente inferiore al valore corrente, se il fallimento si verifica”.

Da ciò si evince che non integra, di per sé, il suddetto concorso, il fatto materiale di aver acquistato, a prezzi notevolmente inferiore quelli di mercato, beni dell’imprenditore insolvente, sebbene la speculare condotta di cessione rovinosa di tali beni possa senz’altro integrare l’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Così si è puntualmente espressa anche la giurisprudenza sulla ricettazione fallimentare: “Il legislatore ha voluto riferirsi ad un acquisto speculativo, compiuto da chi profitta della situazione nella quale il venditore si trova, onde il negozio si concreta, per il venditore, in una vendita rovinosa, per la sproporzione per ciò che l’acquirente riceve ed il prezzo che lo stesso corrisponde. Se ne evince che l’estraneo contraente con l’impresa successivamente fallita non é garante in prima persona del patrimonio dell’impresa controparte nei confronti dei creditori di quest’ultima. La bancarotta é, per l’appunto, un reato proprio dell’imprenditore commerciale, posto a garantire l’osservanza di peculiari doveri posti a suo carico”.

Occorre, dunque, compiere uno sforzo per delimitare l’ambito della responsabilità concorsuale dell’extraneus che, nel rispetto del dato normativo, renda il significato di reato proprio della bancarotta, rispetti la natura legittima, in un’economia di mercato, della libera contrattazione tra le parti, e ritagli ben definite condotte di concorso dell’estraneo in bancarotta fraudolenta che salvaguardino il principio di tassatività e determinatezza, come è particolarmente sentito per le condotte tenute fuori dall’insolvenza.

E’ fuori discussione che il concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta richieda, in primo luogo, il ruolo attivo di almeno un soggetto che possieda le qualità previste per i reati di bancarotta. Peraltro, non sembra trattarsi di reato cd. di mano propria, in cui le condotte tipiche possono essere tenute esclusivamente dall’intraneo, e non sembra quindi necessario individuare una vera e propria condotta principale dell’intraneo di realizzazione della fattispecie, ma il fatto di reato risulta dall’apporto fornito da tutti i concorrenti, nessuno dei quali lo deve, necessariamente, realizzare per intero.
Occorre, pertanto, individuare il contributo oggettivo che l’estraneo deve prestare alla realizzazione della fattispecie plurisoggettiva eventuale di bancarotta fraudolenta. I principi elaborati dalla giurisprudenza in tema affermano che la condotta dell’extraneus deve avere un’influenza causale sul verificarsi dell’evento e, dunque, apportare un concreto contributo materiale o morale alla sua produzione.

E’ evidente, quindi, che non sono sufficienti ad integrare il concorso dell’estraneo “l’essere, il medesimo, uomo di fiducia dell’amministratore bancarottiere; l’essere esperto del settore produttivo della società; l’essere socio. Nessuno di tali elementi serve, infatti, ad individuare la condotta partecipativa e causalmente efficiente richiesta dall’art. 110 c.p.”.

In realtà, la problematica principale attiene alla necessità o meno, nella specifica materia fallimentare, di un accordo tra il terzo estraneo e l’imprenditore dichiarato fallito per la configurazione di una responsabilità a titolo di concorso. Ad avviso di parte della dottrina, l’unico apprezzabile elemento distintivo tra le condotte integranti la ricettazione fallimentare e il concorso in bancarotta fraudolenta, che giustifichi la più severa sanzione di quest’ultima ipotesi e contribuisca a determinare in modo soddisfacente i contorni, può essere individuato nella necessità, nel concorso in bancarotta fraudolenta, di una convergenza, oltre che d’opera, anche di intenti, che può sinteticamente definirsi accordo, a fronte dell’autonomo atteggiarsi della condotta del terzo, pur oggettivamente legata a quella dell’intraneo, nella ricettazione fallimentare.

Pertanto, perché sussista il concorso dell’extraneus nella bancarotta fraudolenta non è sufficiente il mero consenso che è alla base di qualsiasi negozio giuridico e che non comporta, di per sé, l’adesione al disegno criminoso del contraente, ma é necessario che vi sia la comune finalizzazione delle condotte al soddisfacimento degli scopi prefissati dall’imprenditore bancarottiere, il che non esclude peraltro un vantaggio anche per l’estraneo. Il significato distintivo dell’elemento in questione é colto anche in giurisprudenza, secondo cui “come può agevolmente ricavarsi dal dato normativo concernente le due ipotesi delittuose previste dalla legge fallimentare, la cd. ricettazione fallimentare (…) é configurabile soltanto quando manchi un accordo con l’imprenditore fallito; pertanto il fatto del terzo non fallito che commetta distrazioni di beni prima del fallimento, ma d’accordo con l’imprenditore, é punibile a titolo di concorso in bancarotta e non a norma dell’art. 232 l. fall.”

Solo in questi termini i problemi del concorso in bancarotta trovano una soluzione, la quale risponda ad esigenze della pratica del diritto e sia, al tempo stesso, ineccepibile da un punto di vista dogmatico. Infatti, se la tipicità della condotta dipende anche dall’aspetto soggettivo del comportamento, si ha compartecipazione in bancarotta fraudolenta quando il volere dell’extraneus sia tipico ai sensi della fattispecie di bancarotta e si realizzi mediante un contributo, anche parziale, del fallito. Viceversa, la messa in opera, insieme con il fallito, di una certa situazione materiale capace di costituire l’aspetto obiettivo dell’azione di bancarotta, non basta ad integrare il concorso in questo delitto, se manca la conformità del volere del terzo a una fattispecie di bancarotta. Tale soluzione si pone, oltretutto, nell’alveo della tradizione del concorso in bancarotta. Già il Codice francese del 1807 (art. 597) dichiarava complici dei bancarottieri fraudolenti, i colpevoli “di essere intesi” con loro. […]

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I delitti di bancarotta fraudolenta con particolare riferimento al concorso dell'extraneus

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Sora
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Roberto Rampioni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 198

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