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La condizione giuridica del minore palestinese

Il fanciullo nel diritto di famiglia islamico con riguardo al sistema hanafita

Il matrimonio rientra nel “diritto di famiglia”, espressione ignota al diritto islamico, che si compone di regole che si caratterizzano per le fonti da cui vengono tratte, vale a dire Corano e tradizione profetica. Tali fonti creano uno stretto legame del diritto di famiglia con la religione. Oggigiorno, la concezione della famiglia è cambiata e può essere compresa meglio attraverso le parole del giurista |anafita, al-Sarahsi, secondo il quale “nel matrimonio ciascuno dei coniugi si unisce all’altro ed essi sono come una persona sola al fine di occuparsi del bene della vita comune”.


Il matrimonio
Durante il periodo preislamico l’uomo era solito avere diverse mogli, il cui numero poteva essere, potenzialmente, illimitato. Con l’avvento dell’Islam, invece, la poligamia fu vincolata al rispetto di tre condizioni fondamentali: un uomo non può sposare più di quattro donne, deve essere equo e giusto con tutte le mogli, deve essere capace economicamente di poter soddisfare le loro esigenze materiali. Inoltre, nel periodo preislamico esistevano vari tipi di matrimonio, ad esempio il matrimonio a tempo o di godimento caratterizzato dalla determinazione della scadenza del contratto, con la possibilità di rinnovarlo. Le scuole sunnite concordano sulla nullità del contratto di matrimonio di godimento e considerano illeciti i rapporti sessuali consumati in nome dello stesso. Tuttavia, non vi era unanimità sulla illiceità di questo tipo di unione coniugale poiché alcuni compagni del Profeta, in particolar modo Ibn ‘Abbas, lo ritenevano lecito, di conseguenza non si applica la pena hadd.

Quindi, durante l’epoca pagana esistevano vari tipi di unioni lecite che consideravano il matrimonio una convenzione nella quale l’uomo acquisiva, attraverso il padre o un agnate, il diritto di possedere una sposa estraniandola da ogni possibilità decisionale. Con l’avvento dell’Islam l’unica unione lecita era quella basata sul contratto di matrimonio. Il Corano non solo definisce il matrimonio come un patto solenne di unione lecita tra due persone ma elimina una certa promiscuità e libertinaggio sessuale, obbliga il marito a dare il dono nuziale direttamente alla moglie e insiste sui doveri dei figli verso i genitori. Il matrimonio è inteso come un contratto civile atto a regolare i rapporti tra i sessi. Il musulmano che vuole contrarre matrimonio deve mantenersi casto fino al giorno del matrimonio.

Il musulmano sembra essere incoraggiato a sposarsi in quanto questo è un suo dovere religioso e civile. Questo obbligo resta un precetto generico e valido come regola generale. Vi sono casi in cui è proibito sposarsi. Tale proibizione differisce in base alle quattro scuole giuridiche le quali hanno applicato la quintuplice qualificazione delle azioni umane anche al matrimonio. I |anafiti riconoscono il matrimonio come obbligatorio solo in presenza di quattro condizioni:
l’uomo deve essere certo, non sposandosi, di compiere un atto sessuale illecito;
l’uomo non è in grado di compiere un digiuno che lo distolga dalla tentazione di commettere un atto sessuale illecito;
l’uomo non ha i mezzi per comprare una schiava;
l’uomo è in grado di pagare il dono nuziale e il mantenimento.

Se invece l’uomo è incerto se cadrà in incontinenza o la teme soltanto allora il matrimonio diventa una pratica raccomandata. Il matrimonio è un atto indifferente quando l’uomo ha un desiderio di sposarsi e lo fa per appagarlo. Il matrimonio è un atto biasimevole quando si teme di provocare con esso un atto di ingiustizia. Il matrimonio è proibito quando c’è la certezza che gli oneri economici gravanti sul marito abbiano origine illecita. Per il diritto islamico i soggetti del matrimonio sono gli sposi ed il wali, curatore matrimoniale, ossia il parente maschio più prossimo alla donna. Lo sposo deve essere musulmano, pubere, sano di mente e idoneo a consumare il matrimonio; mentre la donna deve possedere le stesse qualità tranne la prima, ella infatti può appartenere alla gente del Libro. Le scuole giuridiche hanno opinioni diverse anche sull’affiliazione religiosa dei genitori della sposa. Per i ḥanafiti è sufficiente che uno solo dei genitori, preferibilmente il padre, appartenga alla “Gente del Libro”. Quando viene concluso un contratto matrimoniale tra un musulmano e una non musulmana dovrebbero esserci due testimoni maschi oppure un solo maschio e due femmine. Solo la scuola giuridica hanafita ammette come testimoni di tale matrimonio la Gente del Libro.

Nel caso di matrimonio tra un musulmano e una non musulmana, la moglie ha gli stessi diritti e doveri di una moglie musulmana. Secondo i giuristi hanafiti il marito non può esigere che sua moglie, di religione cristiana o ebraica, si astenga, ad esempio, dal mangiare carne di maiale o dal bere vino, e non le si può proibire di andare in chiesa. Una conseguenza del matrimonio tra una cristiana e un musulmano è il fatto che la vedova cristiana non può diventare erede del marito defunto a meno che egli non abbia fatto testamento. Solo i hanafiti accettano, in caso di conversione all’Islam della vedova cristiana, il diritto all’eredità a patto che il cambiamento di religione abbia avuto luogo prima che il patrimonio fosse stato diviso. La stessa teoria viene applicata al figlio del defunto il quale, se si converte all’Islam, in seguito alla scomparsa del padre, non erediterà nulla. In caso di presenza di testamento il marito musulmano può lasciare in eredità alla vedova cristiana fino a un terzo dei suoi beni.

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La condizione giuridica del minore palestinese

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Informazioni tesi

  Autore: Tania Ruocco
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Scienze delle lingue, storie e culture del mediterraneo e dei paesi islamic
  Relatore: Agostino  Cilardo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 291

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