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"A cose nuove, nuove parole'': neologismi e espressionismo linguistico nel Misogallo

Il rinnovamento del vocabolario politico: la difficile impresa di conformare “nomi” e “cose”

Quello della ridefinizione del lessico politico e della lotta contro la manipolazione ideologica della lingua si presenta agli occhi di Alfieri come una delle problematiche contemporanee più urgenti.

La Rivoluzione costituisce un concentrato di orrori che si mascherano e nascondono dietro i nomi e valori più nobili ed è compito fondamentale del poeta, in una concezione dell’esercizio artistico come funzione di pubblica utilità, quello di svelarne le mistificazioni, di «denudare [..] la realtà nelle sue follie, miserie e brutture».

Lo spostamento dei piani, la confusione che si era venuta a creare tra il contenuto reale dei concetti e il loro pervertimento a fini politici, porta Alfieri ad intervenire utilizzando il più potente strumento in suo possesso, la lingua.

Allo storpiamento semantico cui le ideologie rivoluzionarie avevano sottoposto termini universali come libertà, virtù, onore, il poeta oppone e risponde attraverso lo storpiamento linguistico e l’originale creazione di neologismi che ristabiliscono il giusto rapporto tra «cose» e «nomi».

Le riflessioni sull’ambiguità e la polisemia di questi vocaboli non caratterizzano solo il Misogallo, ma erano state portate avanti già a partire dal trattato Della Tirannide, nel cui «preamboletto» leggiamo:

Il definire le cose dai nomi, sarebbe un credere, o pretendere che elle fossero inalterabilmente durabili quanto essi; il che manifestamente si vede non essere mai stato. Chi dunque ama il vero, dee i nomi definire dalle cose che rappresentano; e queste variando in ogni tempo e contrada, niuna definizione può essere più permanente di esse; ma giusta sarà, ogni qualvolta rappresenterà per l'appunto quella cosa, qual ella si era sotto quel dato nome in quei dati tempi e luoghi.

Si comprende così come fosse ben radicata nell’autore la «coscienza del travisamento che può prodursi con l’inerte perdurare delle parole di fronte al relativismo effimero dei fenomeni» storici ed è questo un aspetto tanto più concreto alla fine del Settecento, quando il diffondersi dei principi rivoluzionari e della retorica giacobina determinò l’avvento di una molteplicità di strategie per la produzione del consenso e la creazione di un’opinione pubblica.

La possibilità di manipolare il lessico a fini propagandistici fa sì che «le più gonfie, e le più […] riscaldate espressioni, vengano adoperate con profusione da essi [i francesi] per le loro più triviali cose; onde se a caso nascessero poi le sublimi, non rimarrebbero più parole né modi per degnamente lodarle».
Così «i significati della lessicologia politica, non essendo più garantiti dalla corrispondenza tra linguaggio e “sfera delle essenze” si […] fanno meno univoci» e la necessità di una sistematica reinvenzione del vocabolario politico e ideologico del tempo diviene sempre più urgente:

«[…] tutti i nomi più sacrosanti essendo ora stati contaminati da tante bocche e penne servili, bisogna alla libertà, alla proprietà e ai diritti dell’uomo, alle leggi, ad ogni cosa insomma dar nuovi nomi, perché siano in tutto diverse da quelle iniquità che vediamo operare sotto tal maschera».

A questa operazione Alfieri dà inizio denunciando innanzitutto «l’opposizione tra il significato proprio di quei vocaboli ed il loro significato spurio (in altri termini tra significato «alfieriano» e significato «gallesco»), [opposizione che] si configura quasi sempre nel Misogallo quale antitesi tra parola “pura” e parola “contaminata”».

Questo brano è tratto dalla tesi:

"A cose nuove, nuove parole'': neologismi e espressionismo linguistico nel Misogallo

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara De Marzi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Culture Moderne Comparate
  Relatore: Marinella Pregliasco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 190

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