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La lezione di Adriano Olivetti: il welfare aziendale e la partecipazione nelle imprese Workers' Buy Out

L’Olivetti e i suoi stakeholders

Binomio indissolubile quando si parla della Olivetti del dopoguerra è quello fabbrica-Comunità, tant’è che la prima arrivò ad assumere la caratteristica di ‘comunitaria’. L’azienda dopo il 1946 divenne il centro gravitazionale del Canavese, territorio che si estende ai piedi della Valle d’Aosta, tra corsi d’acqua, prati e montagne. Prima di quell’anno infatti erano nate forme di assistenza per i lavoratori, e si era dunque percepita la necessità di garantire agli stessi un maggior equilibrio tra vita lavorativa e non, ma ancora non era stata presa in considerazione le rilevanza dell’ambiente esterno, non era ancora stato adottato un approccio evolutivo nella relazione tra strategia e gestione delle risorse umane.

In seguito la fabbrica prese coscienza del fatto che la sua vera famiglia era il territorio limitrofo. A quel punto essa decise di assumere un ruolo primario in un contesto che necessitava di una forma di sostegno per il profondo mutamento sociale che si trovava a vivere. Nel 1946 la fabbrica iniziò così massicciamente ad assumere, in breve tempo vi entrarono mille persone e “per la prima volta la fabbrica aveva accettato la comunità e aveva cementato in un sacrificio economico la sua essenza di unità e di solidarietà umana” (Olivetti, 2014, p. 64).

Non era solo la Comunità ad entrare dentro la fabbrica, ma quest’ultima ad uscirne e divenire il punto di riferimento per iniziative culturali dando vita a Centri Comunitari che si occupavano di diffondere il verbo olivettiano in ogni angolo del Canavese. Quella che venne intrapresa fu un’opera di elevazione culturale, gli addetti di questi Centri parlavano di democrazia, solidarietà, verità, giustizia a qualsiasi cittadino, dal più istruito fino al contadino che non aveva lasciato la sua terra per recarsi in città. Anzi gli ‘educatori’ cercavano di mantenere più vivo possibile questo legame con le origini, con le radici dell’uomo. Un uomo che nei decenni precedenti aveva subito un profondo cambiamento: dedicatosi per secoli quasi esclusivamente all’agricoltura, ora si doveva confrontare con un lavoro ripetitivo, alienante, che lo metteva continuamente in relazione con le macchine.

Bisognava dunque rivitalizzare quel territorio di campagna che ancora faceva sentire l’uomo legato alla sua vera natura e forte fu l’impegno di Olivetti nell’affermazione dell’urbanistica, offrendo il contributo della fabbrica alla stesura di un Piano Regolatore che sapesse conciliare campagna e città, coinvolgendo i massimi esperti di questa disciplina. “Essi operano attraverso la tecnica e l’esperienza più moderna affinché il piano nasca dalle condizioni e dai bisogni della Comunità e finalmente non sia fatto contro l’uomo, ma posto al servizio dell’uomo” (Olivetti, 2014, p.69). Ed infatti gli urbanisti iniziarono il loro lavoro con un’indagine che coinvolse gli abitanti di quei territori, intervistandoli e cercando di ottenere informazioni sulla struttura e sul funzionamento della famiglia, su come i residenti in città vedevano il mondo fuori dalla stessa, sull’uso del tempo libero e sul loro adattamento alle condizioni di lavoro (Olivetti, 2014).

Allo stesso tempo si favorì la nascita di cooperative agricole e di piccole aziende in luoghi decentrati affinché la città e la campagna potessero avere lo stesso sviluppo economico e sociale. Inoltre l’azienda di Ivrea plasmò le proprie politiche di assunzione nel rispetto della Comunità: per evitare stravolgimenti in termini di immigrazione, che avrebbero portato l’esigenza di nuove costruzioni e diversi sistemi di trasporti, si privilegiò la manodopera proveniente dai comuni del Canavese, limitando a questo territorio il bacino di reclutamento.

La fabbrica insomma spinse il territorio ad elevarsi, ad emanciparsi, ad autogovernarsi, ci camminò di pari passo e ne perseguì gli stessi fini. Il fine di migliorare la condizione di una società che, se non fossero bastati gli stravolgimenti del ventennio precedente, si ritrovava negli anni cinquanta teatro di una fortissima contrapposizione, quella tra capitale e lavoro, tra socialismo e capitalismo. L’intento di Adriano Olivetti era quello di unire e dunque di attenuare qualsiasi contrapposizione, qualsiasi divisione, perché solo agendo congiuntamente si sarebbero potuti realizzare quei valori di solidarietà umana, giustizia sociale, verità che tanto andava perseguendo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La lezione di Adriano Olivetti: il welfare aziendale e la partecipazione nelle imprese Workers' Buy Out

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Informazioni tesi

  Autore: Anita Cezza
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze dell'economia e della gestione aziendale
  Relatore: Martina Gianecchini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 52

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