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Profilo critico di Giuseppe Conte

La “letterarietà” di Conte

La poesia di Conte è ricchissima di riferimenti letterari, di citazioni tratte dalla poesia “alta” della tradizione occidentale. Sorprende l’ingenuità, almeno apparente, con cui il poeta inserisce questi elementi colti nei suoi versi. Non sembrano infatti agire quei filtri che il lettore potrebbe aspettarsi da un poeta contemporaneo, consapevole del carattere fittizio della letteratura, se è vero, come afferma Umberto Eco, che oggi la rivisitazione del passato è possibile solo se compiuta «con ironia, in modo non innocente».
Ad esempio, nel carme Ai Lari Conte scrive che «la materia si cambia in eterno moto», parafrasando di fatto il foscoliano: «e una forza operosa le affatica/di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe/ e l’estreme sembianze e le reliquie/ della terra e del ciel traveste il tempo»; analogamente, ne Le stagioni, il poeta di Porto Maurizio riprende l’invocazione all’estate di D’Annunzio «Estate, Estate mia non declinare!», da cui: «Estate tu non declinare».
Un confronto con uno scrittore contemporaneo può essere eloquente. Nel sonetto «Mi sono distratto – oh, per poco, appena» Raboni, citando i famosi versi di Gozzano «Non amo che le rose/ che non colsi», segnala l’ovvietà della citazione: «Niente è nuovo,/ ora che le vivo, più delle cose/ che ho vissuto aspettandole, aspettando/ la vita, più delle, ma sì! famose/ rose che ho colto come in trance, macchiandomi/ spesso e volentieri, di sangue…», scrive il poeta milanese.
Una chiave di lettura di questo rapporto strettissimo di Conte con la tradizione alta può essere rinvenuta nei famosi versi con cui Yeats suggella la sua poetica: «Siamo stati gli ultimi romantici: abbiamo scelto per tema/ la santità e la bellezza della tradizione,/ qualunque cosa scritta in quello che i poeti chiamano/ il libro del popolo, qualunque cosa possa benedire/ la mente umana o esaltare una rima», scrive il poeta irlandese. D’altro canto, proprio nella dimensione “artigianale” della poesia, cioè nell’attività del poeta che fabbrica gli oggetti del bello secondo le tecniche che gli avi gli hanno tramandato, Yeats ravvisava il «il fine della mente che opera in segreto»: è una premessa, questa, che si può estendere anche all’opera di Conte, dove non a caso è centrale la figura di Ermes, dio inventore dallo spiccato senso pratico, cui si deve perfino la creazione della cetra.
Già Giovanardi segnalava il «materiale espressivo tendenzialmente “sublime”, e comunque saldamente incardinato nella tradizione lessicale dell’estetismo internazionale» della poesia di Conte: un’ulteriore, evidente conferma di questo amore per la tradizione si deve alla raccolta Ferite e rifioriture, dove Conte definisce i suoi poeti più cari «compagni di lotta/ e di gioco». A questo rapporto con i maestri guardano criticamente i detrattori di Conte: Sanguineti,
ad esempio, lo accusa di avere «una retorica molto povera […] come uno che si sia formato su vecchie antologie».
Il fraintendimento è il rischio di questa poesia, che potrebbe essere scambiata per un gioco erudito e popolare al tempo stesso. «Quella di Conte – scrive Porta – è una scommessa estrema, e molto del suo valore sta in questo coraggio che è pari al rischio che si corre giocando in bilico tra kitsch e vitalità». Eco sottolinea che, «se, col moderno, chi non capisce il gioco non può che rifiutarlo, col post-moderno è anche possibile non capire il gioco e prendere le cose sul serio» – ambiguità, questa, che è la «qualità» e il «rischio» dell’ironia. Si coglie a questo punto tutta l’originalità di Conte, la sua irriducibile estraneità: nei suoi versi non c’è mai un gioco ironico o erudito, al contrario viene espressa una fede radicale nella tradizione. I poeti del passato parlano ai contemporanei, rivivono in loro: «Coetaneo di Paride e di Elena/ di Agamennone e di Clitennestra/ di Omero, Hāfis, Mohammed, Goethe e/ Borges, chi sarò alla fine, in quanti/ moriremo?», s’interroga Conte. Secondo Folco Portinari, la letterarietà di Conte consiste nella richiesta, rivolta alla letteratura, «di porre domande e dare risposte sulle questioni definitive, sull’essenza delle cose e dell’essere e dell’uomo»: ne deriva una «fiducia nella letteratura e nella sua utilizzabilità, gnoseologica, eroica, che non circolava più tra noi, ad alto livello, dai tempi del più ortodosso ermetismo fiorentino». [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Ottolia
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Giorgio Ficara
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 119

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