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Stato senza nazione: dibattito su un Risorgimento fallito

La Francia dalla “Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino” (26 agosto 1789) alla Costituzione dell’anno III° (1795)

Di ben maggiore importanza per la storia europea - e quindi anche italiana - furono la Déclaration des droits de l'homme et du citoyen e le Costituzioni nate dalla Rivoluzione francese. La prima (la Dichiarazione dei diritti più famosa di ogni altra), votata dalla Assemblea costituente a Versailles il 26 agosto 1789, già condensava, nel suo primo articolo, gli immortali principi dell'Ottantanove: «Gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali nei diritti». Essa non solo riecheggiava gli analoghi testi della rivoluzione americana e raccoglieva gli insegnamenti e le aspirazioni più audaci del pensiero politico europeo, oltre agli autori sopra citati, gli Enciclopedisti e Rousseau, ma era anche il segno del combattivo ripudio di una data situazione storica. (Mirabeau l'aveva scultoreamente definita un «atto di guerra ai tiranni»).

Le sue affermazioni in apparenza erano astratte: la sovranità appartiene alla nazione; non si deve obbedienza che alla legge; nessuno può essere arrestato O detenuto se non legalmente; l'accusato è da considerarsi innocente fino a che non sia definitivamente dichiarato colpevole; i cittadini sono eguali davanti alla legge; e così via. Nella realtà, esse erano l'espressione di una pugnace volontà rivoluzionaria, e significavano che la Francia non era più la proprietà del re, che la volontà arbitraria del monarca e dei suoi ministri e agenti non poteva più imporsi a suo libito, che non ci sarebbero più state lettres de cachet per «imbastigliare» i sudditi - ossia per rinchiuderli senza giudizio, magari per anni, nella Bastiglia o in altre fortezze - che la tortura era abolita, che i privilegi erano ingiustificati, e così via. E non si trattava soltanto di una condanna e insurrezione contro tutto un passato, ma di una promessa d'avvenire, di impliciti sviluppi allora in parte impensati e impensabili, nel senso a noi familiare, di una democrazia politica e perfino sociale, di germi reconditi che la storia futura avrebbe maturato.

Rispetto alla Dichiarazione dei diritti, la prima Costituzione rivoluzionaria della Francia, quella del 1791 con la sua distinzione fra cittadini «attivi» e «passivi», rinnegante il principio del suffragio universale), ci appare come un ripiegamento, un compromesso fra tendenze contrastanti. Del resto, tale era anche apparsa la Costituzione americana del 1787 definita da Franklin un «fascio di compromessi») se paragonata alla jeffersoniana Dichiarazione d'indipendenza; e lo stesso si sarebbe potuto dire, più tardi, di molte altre Costituzioni, anch'esse, per forza di cose, frutto di cauti equilibri e mutue concessioni. Ben più avanzata sul terreno politico e sociale fu la Costituzione del 1793, votata dalla Convenzione quando la spinta rivoluzionaria era al suo apice.

La sua entrata in vigore, prima rinviata per le necessità della guerra e della lotta ad oltranza condotta dal Comitato di salute pubblica fu poi definitivamente impedita dalla caduta di Robespierre; ma la sua fama sarebbe stata rinverdita nel corso delle lotte politiche e sociali della Francia dell’Ottocento. Ben più moderata fu la Costituzione del 1795, denotante la preoccupazione di arginare gli ecce i del '93 e di consolidare la vittoria della borghesia e le conquiste civili della Rivoluzione. a spese e dell'aristocrazia e insieme delle classi popolari. dei sanculotti e dei giacobini repressi dalla reazione termidoriana.
Tale Costituzione fu di lì a poco adottata dalle repubbliche sorte in Italia alla fine del Settecento, dopo le prime vittorie del Bonaparte. Sebbene lontana dalle audacie rivoluzionarie del 1793, essa ebbe, rispetto agli antichi regimi della penisola, una forza dirompente.

Le Costituzioni dell’età napoleonica, dal Consolato all’Impero, seguirono un graduale abbandono delle libertà e dei diritti dell’uomo e del cittadino proclamati dalla grande Rivoluzione francese, e l’approdo ad un nuovo dispotismo, sia pure su basi giuridiche, economiche, sociali profondamente mutate rispetto all’antico regime: un mutamento orami irrevocabile. Abbattuto il dominio napoleonico e tornati in Francia i Borboni, non si poté negare ai francesi, nell'interesse stesso della monarchia restaurata, qualche blanda concessione, ad onta della rabbiosa intransigenza dei reazionari, gli ultras. Si ebbe così la Charte di Luigi XVIII (1814). Il nome stesso (Carta e non Costituzione) indicava trattarsi di
una limitata concessione fatta dal monarca ai suoi sudditi. Come allora si volle dire e ribadire, era una Costituzione octroyée, ossia «elargita» benignamente dal sovrano, anziché deliberata da un'assemblea costituente come quelle della Rivoluzione francese.

Questo timido moderatismo della Charte non era soltanto nel suo nome e nella sua origine esclusivamente regale, ma altresì nel suo contenuto. In essa infatti il re si era proposto ed era riuscito ad assicurarsi una funzione preponderante: non solo vi si sanciva che a lui faceva capo il potere esecutivo, ma a quest'ultimo era riservato l'esclusivo diritto dell'iniziativa legislativa, con esclusione del Parlamento; e si .attribuiva al sovrano il potere di emettere « i regolamenti e le ordinanze per l'esecuzione delle leggi e la sicurezza dello Stato ». (Di qui, nel 1830, le famose ordinanze di Carlo X, che avrebbero provocato la rivoluzione di Luglio).

Si reintroduceva inoltre un sistema bicamerale: una Camera dei Pari, in parte ereditaria, destinata a essere il baluardo delle forze aristocratiche e conservatrici, e una Camera dei Rappresentanti, eletta a suffragio assai ristretto. Parco e misurato, in confronto ai testi rivoluzionari, era poi l'elenco dei diritti di libertà, per giunta rigorosamente limitati dai poteri che, come si è detto, erano riservati al monarca. Ma facendo leva su queste pur blande libertà costituzionali (“la liberté selon la Charte”) l'opposizione liberale francese sotto la Restaurazione sostenne una lunga e spesso dura battaglia, che risvegliò l'opinione pubblica più avanzata in quel paese e in tutta l'Europa, e alla fine concorse anch'essa alla rivoluzione del 1830, che portò all'ascesa al trono di Luigi Filippo d'Orléans. La nuova carta costituzionale, modificata qua e là in senso più liberale, ma pur sempre ristretta entro i limitati interessi oligarchici della borghesia del juste-milieu, fu in sostanza un compromesso fra la dinastia orleanista e la nazione. Il frutto più notevole e duraturo di questa ripresa liberale in Europa fu la Costituzione che si diede nel 1831 il Belgio, staccatosi dall'Olanda con una rivoluzione vittoriosa.

In Italia la Restaurazione aveva visto il ritorno dei governi assoluti, senza neppur l'ombra di una Costituzione qualsiasi, fosse pur moderata come quella di Luigi XVIII. La rivoluzione napoletana del 1820 e quella piemontese del 1821 portarono all'adozione, nei due paesi, di una Costituzione, modellata con poche varianti su quella di Cadice del 1812, a sua volta ispiratasi a quella francese del 1791, e rimessa in auge dalla rivoluzione spagnola del 1820. Ma l’una e l’altra Costituzione, nel Napoletano e nel Piemonte, ebbero vita breve, per l’intervento delle truppe austriache che soffocarono i moti rivoluzionari nei due Stati della penisola. Tra il 1821 ed il 1830 le aspirazioni costituzionali in Italia, alimentate dagli scritti e discorsi dell’opposizione liberale francese, si diffusero in ceti soprattutto borghesi, e, all’indomani della rivoluzione di luglio, vennero alla luce durante i moti del 1831 nell’Italia centrale. A Bologna fu perfino votata una Costituzione delle 7 “Province Insorte ed Unite Italiane”: uno Statuto provvisorio del nuovo Stato, di contenuto piuttosto meschino, che non ebbe neppure il tempo di prendere vita, soffocato sul nascere dall’intervento austriaco. [...]

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Stato senza nazione: dibattito su un Risorgimento fallito

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Martini
  Tipo: Tesi di Master
Master in Master in "Cittadinanza e Costituzione"
Anno: 2018
Docente/Relatore: Di Marco Daniela
Istituito da: Consorzio Interuniversitario europeo "For.com."
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 61

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