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Il reato di violenza sessuale

La locuzione ''compiere o subire''

L'abrogato articolo 521 c.p., che sanzionava il reato di atti di libidine violenti, puniva la condotta di chi commettesse i suddetti atti sulla persona della vittima, o in alternativa costringesse o inducesse il soggetto passivo a compierli "su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri".
La nuova formulazione dell'articolo 609-bis sintetizza il medesimo concetto attraverso la locuzione "compiere o subire" atti sessuali; la specificazione "su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri", ultronea, è stata opportunamente omessa.

Il verbo "compiere" in senso proprio indica il portare a termine, realizzare, condurre ad effetto un'azione; compiere atti sessuali significa esercitare un'azione di natura sessuale sul proprio corpo o sul corpo altrui.
"Subire" un atto sessuale equivale a sopportarlo; secondo alcuni autori il termine avrebbe una duplice valenza, ricomprendendo sia le ipotesi in cui l'atto venga compiuto da terzi sulla propria persona (e assumendo in questo caso una connotazione passiva), sia le ipotesi in cui la persona sia costretta a compiere l'atto su di sé o su altri, connotandosi in questo caso attivamente 44; tale ipotesi appare tuttavia non convincente, poiché una simile interpretazione del verbo "subire" renderebbe pleonastica la presenza del verbo "compiere".

La locuzione in esame ricomprende quindi varie possibilità di estrinsecazione degli atti sessuali, che possono essere indifferentemente compiuti dal soggetto attivo sulla persona del soggetto passivo, o da quest'ultimo sulla propria persona (come nel caso degli atti di autoerotismo) o su quella di terzi, anch'essi da considerare parimenti soggetti passivi (qualora i terzi fossero consenzienti, si verserebbe nella diversa fattispecie della violenza sessuale di gruppo, prevista dall'articolo 609-octies c.p.).
La Corte di Cassazione è intervenuta più volte sul tema della configurabilità del reato di violenza sessuale nel caso in cui l'atto non venga compiuto dal soggetto attivo sul soggetto passivo, bensì da questi sulla propria persona o su quella di terzi.
In una sentenza del 1999, la Suprema Corte, peraltro in via di mero obiter dictum, ha censurato l'ipotesi secondo la quale esulerebbe dal reato ex articolo 609-bis "il comportamento di chi (…) costringa la vittima a compiere atti di autoerotismo", giacché non vi sarebbe ragione per cui il legislatore avrebbe inteso escludere dalla nuova fattispecie "gli atti di libidine che il secondo comma dell'articolo 521 c.p. puniva anche se compiuti – per costrizione dell'agente – su se stessi o su altri".
In applicazione del suesposto principio, sempre nel 1999 la Corte ha confermato la condanna per violenza sessuale inflitta in sede d'appello ad un ufficiale dell'esercito il quale, abusando della sua posizione autoritativa, aveva costretto alcuni militari a lui sottoposti a eseguire su se stessi atti di masturbazione 46, fotografandoli durante il compimento di tali atti.

L'imputato, nel suo ricorso, aveva contestato che potesse definirsi atto sessuale il ritrarre soggetti intenti al compimento di pratiche autoerotiche; i giudici della Suprema Corte hanno sottolineato come oggetto dell'imputazione non fosse l'aver effettuato riprese fotografiche di tali pratiche, ma l'averne imposta l'esecuzione ai propri subordinati, compiendo in questo modo un'indebita intrusione nella corporeità sessuale dei soggetti passivi, pur in mancanza di qualsiasi contatto fisico diretto con essi.
Nel 2003 la Cassazione è tornata nuovamente a pronunciarsi sulla materia, riaffermando la configurabilità del reato di cui all'articolo 609-bis anche nelle ipotesi in cui "il soggetto attivo (...) costringa due soggetti diversi, da considerare entrambi passivi, "a compiere o subir" atti sessuali anche tra di loro".
Nel caso di specie, l'imputato era stato condannato in primo grado (condanna poi confermata in appello, seppur con una riduzione della pena inflitta) in quanto ritenuto responsabile del reato di violenza sessuale continuata e aggravata ex articolo 609-ter ultimo comma, per aver costretto in più occasioni due minori (uno dei quali di età inferiore a dieci anni) a compiere atti sessuali tra di loro, senza peraltro che si fosse verificato un suo coinvolgimento diretto nei rapporti sessuali.
I giudici ritennero infondato il motivo di ricorso, che ipotizzava la necessità "di un contatto immediato, e non mediato, tra il soggetto attivo e quello passivo " per poter ricomprendere la condotta nello schema normativo della violenza sessuale; secondo le parole della Suprema Corte, una tale necessità sarebbe da considerarsi "al di fuori della ratio della stessa lettera della norma incriminatrice ".

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il reato di violenza sessuale

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Informazioni tesi

  Autore: Cristina Ranfagni
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Bergamo
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Pietro Semeraro
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 189

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Parole chiave

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diritto
violenza sessuale
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609 bis
atti sessuali
legge 66/1996
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