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Esperienze di Mediazione Familiare Intergenerazionale nel comune di Firenze. Il ruolo dell'assistente sociale.

La mediazione familiare

Il termine “mediazione familiare” indica “qualsiasi intervento, relativo al conflitto, che abbia come oggetto le relazioni familiari”, e riguarda un processo mirato a far evolvere dinamicamente una situazione di conflitto, aprendo canali di comunicazione precedentemente bloccati.
In ambito sociologico, l’evento sociale che ha ispirato l’uso di tale termine e la nascita dei modelli di mediazione familiare è la separazione e/o il divorzio coniugale con presenza di figli.
In letteratura, la mediazione si presenta in due modelli, con origini, principi e prassi operative posti agli antipodi: “negoziale” e “terapeutico”, e due sono le differenze fondamentali che li distinguono.

1) La modalità di trattare le dinamiche relazionali e i vissuti soggettivi della separazione all’interno del rapporto di mediazione: il primo modello utilizza le principali procedure impegnate per la definizione degli accordi nell’universo aziendale e nelle relazioni internazionali. L’accento è posto sull’obiettivo del raggiungimento dell’intesa, mentre le variabili emotive o esterne sono trattate come ostacoli rispetto alla negoziazione.
Il secondo modello, invece, contestualizza le tecniche e i concetti affini alla pratica psicoterapeutica. I cambiamenti riguardano diverse modalità di trattare le emozioni, i vissuti individuali e le componenti della storia che hanno caratterizzato la storia.
2) La posizione che il mediatore deve assumere nei confronti degli accordi presi: nel modello negoziale, è necessario astenersi da ogni valutazione in merito all’accordo raggiunto attraverso la negoziazione, in ossequio a una concezione che tutela la libertà delle parti contraenti e concede una fiducia di base nella possibilità delle parti di compiere le proprie scelte in modo positivo.

In quello terapeutico, viene sottolineata la necessità che il mediatore tenga conto sia della rispondenza delle soluzioni adottate ai bisogni sia dell’equità degli accordi presi.
Quest’ultimo modello di mediazione è particolarmente idoneo all’ambito familiare, ed è stato elaborato da Irving e Benjamin in Canada tra la fine anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 del Novecento, al fine di rendere più stabili - quindi produttive - le relazioni tra le parti coinvolte. È un modello che propone come fase di passaggio la “pre-mediazione”, centrata sull’analisi e sulla modifica delle interazioni più disfunzionali che impediscono al nucleo di negoziare.

La mediazione terapeutica ha come riferimento la teoria sistemico-relazionale ma in particolare il “modello ecosistemico” della famiglia, secondo il quale ogni famiglia ha strutturato un proprio modello di interazione tra i suoi membri, che si traduce in modalità comportamentali, affettive, comunicative che vanno inconsapevolmente da un livello minimo di funzionalità a un livello massimo di disfunzionalità, e che possono coinvolgere anche persone esterne in contatto con la famiglia; uno dei presupposti essenziali dell’ottica sistemica è spostare l’attenzione dall’ “interazione” alla “relazione”.

Uno dei filoni interni al pensiero sistemico-relazionale, che ha sostenuto questo importante cambiamento, è l’approccio trigenerazionale: includere nell’osservazione tre generazioni, per cogliere i significati delle relazioni attuali tra gli individui e le loro famiglie.
Con il procedere degli anni, le famiglie si confrontano con eventi, nascite, malattie, separazioni che richiedono continue trasformazioni e riorganizzazioni relazionali; per far fronte ai problemi incontrati, il nucleo familiare elabora i modelli interpretativi tramessi dalle generazioni precedenti e ciascun individuo ricorre al proprio modello di relazione interiorizzato e, partecipando alla vita familiare, si confronta, interagisce con queste eredità generazionali.

Nella mediazione familiare sistemica, ha un ruolo di rilievo il “conflitto”, il quale non è il focus dell’intervento di mediazione, bensì ne è uno “strumento”: la mediazione opera all’interno del conflitto, al fine di riorganizzare le relazioni familiari perché la finalità è l’accordo tra le parti.
Onde evitare di dare una concezione “patologizzante” del conflitto, Pasquale Busso ha studiato questo aspetto utilizzando dei concetti provenienti dalla prospettiva sociologica dell’ “approccio sistemico-relazionale” di Luhmann: in questa prospettiva il conflitto diventa una conseguenza necessaria e fisiologica ed è la diversità nei criteri di senso a generare conflitti.
Anche nella vita quotidiana, il senso comune ci dimostra che, in un dialogo, è meglio lo scambio di opinioni piuttosto che il silenzio per paura del confronto/scontro di due punti di vista diversi; meglio “destrutturare” la quotidianità per poi crearne una nuova, forte e migliorata.

Però è da notare la differenza tra il concetto di “conflitto” e quello di “contrapposizione”: se quest’ultima viene disvelata, accettata, riconosciuta dai protagonisti, possiamo parlare di conflitto.
“Ogni attore infatti non può rimanere indifferente di fronte alla contrapposizione, è costretto a definirsi, a prendere posizione e conseguentemente collocare la comunicazione nell’ambito della normalità, dove è fisiologico che esistano interessi diversi, opinioni diverse, posizioni contrastanti, divisioni”.

All’interno del conflitto, il mediatore è una persona che possiede dei modelli interiorizzati di relazione e una griglia interna affettiva-cognitiva con cui organizza, valuta, seleziona, giudica ciò che vede e sente durante gli incontri di mediazione familiare; quindi la sua collocazione interna al rapporto è un elemento irrinunciabile.

All’inizio della diffusione dei modelli di mediazione familiare, avere dei modelli interiorizzati era un qualcosa da cui proteggersi, da evitare, da tenere distante per il raggiungimento della neutralità, invece ora diventa uno strumento importante perché solamente attraverso la consapevolezza del nostro funzionamento psichico e delle nostre aree sensibili diventa possibile evitare la confusione intesa nell’accezione di “fusione con” - ovvero non riuscire a distinguere quali siano i sentimenti, le emozioni, i pensieri che appartengono a noi e alla nostra storia da quelli che appartengono ai membri del percorso mediativo. È importante riconoscere le “risonanze”: quegli elementi comuni che appartengono al vissuto del mediatore e, contemporaneamente, possono appartenere alla famiglia oggetto di intervento o ad un membro di essa.
La branchia della mediazione familiare ad approccio sistemico-relazionale a cui faccio riferimento in questo elaborato è la mediazione familiare intergenerazionale (§3).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Esperienze di Mediazione Familiare Intergenerazionale nel comune di Firenze. Il ruolo dell'assistente sociale.

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Informazioni tesi

  Autore: Laura Travaglini
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Disegno e Gestione degli Interventi Sociali
  Relatore: Annalisa  Tonarelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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Parole chiave

servizio sociale
mediazione familiare
assistente sociale
ciclo di vita
dinamiche familiari conflittuali

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