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L'esercizio dell'attività d'impresa da parte delle Associazioni e delle Fondazioni

Le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)

Nel panorama tracciato meritano un paragrafo a parte, per la loro importanza nell’ambito degli enti senza scopo di lucro, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
Si deve chiarire da subito come l’istituto delle ONLUS, «l’inelegante acronimo con il quale si richiamano le organizzazioni non lucrative di utilità sociale», ha valore esclusivamente a fini tributari, sebbene i riflessi in ambito civilistico non siano assolutamente marginali. Le ONLUS, infatti, non sono nuovi soggetti che si aggiungono a quelli già noti, ma sono un «contenitore fiscale» a cui possono aderire i vari e diversi soggetti giuridici operanti nel campo della cultura, dello sport e della solidarietà sociale, adeguando i propri statuti secondo regole fissate dalla legge. Si tratta, in particolare, del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 che ha affrontato il “riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, dove all’art.10 è previsto che possono rivestire la qualifica di ONLUS «le associazioni, i comitati, le personalità giuridica», che rispettino i requisiti dettati dal decreto.

Due sono, sicuramente, gli aspetti importanti da sottolineare: l’inclusione delle società cooperative in un contesto dove sembrerebbero predominare gli enti del libro I del codice civile e la piena considerazione della figura principe del mondo non profit, l’associazione non riconosciuta. In particolare, l’inclusione delle società cooperative ha posto immediati problemi di compatibilità subito sottolineati dalla più attenta dottrina: l’adeguamento di una cooperativa ai requisiti richiesti dal decreto n. 460 del 1997, infatti, comporterebbe l’abbandono dello scopo mutualistico – egoistico che, secondo la tesi tradizionale, costituisce la causa del relativo contratto, in favore di una mutualità c.d. esterna, caratterizzante il fine di solidarietà sociale proprio delle ONLUS. Le uniche cooperative ontologicamente adeguate a rispettare i requisiti richiesti sono, perciò, quelle sociali, figure, peraltro, rientranti tra le c.d. onlus di diritto.

Lo status di ONLUS potrà spettare anche agli enti ecclesiastici (enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, agosto 1991, n. 287, art.3, comma VI, lett. e)), benché soltanto limitatamente all’effettiva presenza in uno o più settori rientranti tra quelli prescritti e purché mantengano scritture contabili separate (art.10, comma IX, D.Lgs. 460/97): viene, perciò, assoggettata alla normativa esclusivamente l’attività, non l’organizzazione in quanto tale.
L’ottavo comma dell’art.10 menziona alcune categorie di enti (le c.d. ONLUS di diritto) che assumono ipso jure tale qualifica: le organizzazioni di volontariato ex legge 11 agosto 1991, n. 266, purché iscritte negli appositi registri, gli enti non governativi riconosciuti idonei ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49 (nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo) e le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381. In relazione alla disciplina direttamente applicabile a questi enti, pur estendendosi la particolare soggettività fiscale propria delle ONLUS, viene espressamente consentita comunque l’applicabilità delle disposizioni di maggior favore previste dalle normative speciali.

È importante evidenziare anche quali soggetti non possono diventare ONLUS: gli enti pubblici, le IPAB, le società commerciali diverse da quelle organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni di categoria. Per gli enti pubblici l’esclusione appare dettata dal fatto che essi per legge perseguono obiettivi sociali e per essi è già prevista l’esclusione dalle imposte dirette dall’art.88 del Testo Unico delle imposte sui redditi (T.U.I.R., approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917). L’esclusione risulta essere penalizzante per le IPAB, gli enti pubblici che perseguono finalità di assistenza e beneficenza, laddove essi svolgono attività non comprese nell’art.88 T.U.I.R., ad esempio quelle di istruzione. In tal caso resta loro la possibilità di trasformarsi in fondazioni di diritto privato e di diventare, quindi, ONLUS. Le fondazioni bancarie restano enti non commerciali e generalmente non sono coinvolte direttamente nella gestione delle attività previste per le ONLUS. Esse per definizione supportano tali attività con erogazioni liberali e, quindi, non possono essere esse stesse ONLUS. Semmai possono favorire il sorgere di tali soggetti e prevedibilmente la gestione di quegli enti che si trasformeranno in ONLUS. Per le società commerciali, naturalmente, l’esclusione è data a causa del fine lucrativo, mentre le altre categorie hanno lo scopo di favorire i propri associati o di perseguire finalità politiche che non rientrano direttamente nelle previsioni delle ONLUS.

Tutte le varie tipologie descritte, con l’esclusione delle ONLUS di diritto, sono assoggettate a precise regole di natura sia formale che sostanziale: svolgimento concreto dell’attività. Le limitazioni previste dalla normativa intendono circoscrivere la categoria “ONLUS” rispetto alla generalità degli enti non commerciali, al fine di prevenire abusi diretti ad usufruire illegittimamente del regime agevolativo previsto per i primi.

Lo status di ONLUS dipende quindi dalla sussistenza dei seguenti requisiti oggettivi:
1. lo svolgimento di attività comprese nei settori tassativamente indicati dal decreto (assistenza sociale e socio-sanitaria; assistenza sanitaria; beneficenza; istruzione; formazione; sport dilettantistico; tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico; tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente; promozione della cultura e dell’arte; tutela dei diritti civili; ricerca scientifica di particolare interesse sociale (che sia svolta direttamente da fondazioni, ovvero che da queste sia affidata ad università, enti di ricerca e ad altre fondazioni));
2. l’effettività delle finalità di carattere sociale;
3. la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata con l’inserzione di specifiche clausole nell’atto costitutivo e nello statuto.

Proprio per la tassatività dei settori indicati al punto 1, è fatto divieto alle ONLUS di svolgere attività diverse salvo quelle connesse, e di distribuire, anche indirettamente, utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve, o capitale durante la vita dell’organizzazione. Inoltre esse devono obbligatoriamente redigere il bilancio e il rendiconto annuale, impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle direttamente connesse, nonché, qualora per qualunque causa si addivenga al loro scioglimento, è previsto l’obbligo di devoluzione del patrimonio a favore di altre ONLUS, facenti parte della stessa struttura, ovvero a fini di pubblica utilità. Infine, il decreto prevede che la fruizione dei benefici previsti dalla legge discende dall’assolvimento di un ulteriore onere pubblicitario (oltre all’utilizzo della formula “Organizzazione non lucrativa di utilità sociale” o “ONLUS” nella denominazione ed in ogni segno distintivo o in ogni comunicazione da rivolgere al pubblico): l’iscrizione nell’anagrafe delle ONLUS, istituita presso il Ministero delle finanze (oggi denominato “Ministero dell’economia”). Sull’attività delle ONLUS, la nuova legislazione ha previsto momenti significativi di controllo, giustificati dal possesso di uno status speciale, istituendo anche una vera e propria Authority con sede a Milano.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Stefano Rudilosso
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2004-05
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Gianroberto Villa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 167

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