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Il recesso dai trattati internazionali tra diritto internazionale e diritto dell'Unione europea: il caso Brexit

Le conseguenze della Brexit a livello nazionale: il caso Miller

Come visto, le conseguenze della Brexit sono state molte ed importanti, ma non si sono esaurite solo sul piano internazionale: l'interpretazione dell'art. 50 del Trattato di Lisbona ha infatti creato scompiglio all'interno della politica britannica. Il caso Miller si è aperto ad opera di Gina Miller, businesswoman britannica di origini sudamericane, che ha presentato nell'ottobre 2016 un ricorso all'Alta Corte britannica contro la decisione della Primo ministro Theresa May, la quale ha deciso di invocare l'art. 50 nel marzo prossimo, senza prima sottoporre il procedimento ad un voto del Parlamento.

La decisione della Miller è stata guidata dal suo personale sconcerto seguito alla vittoria del Leave, e l'ha portata a rivolgersi ad uno dei più prestigiosi studi legali della City. In molti avevano criticato la scelta di Downing Street: parlamentari dell'opposizione ma anche dello stesso partito conservatore, finanziari e banchieri; nessuno tuttavia aveva mai pensato di porre un ostacolo concreto nel cammino di Theresa May.

Le argomentazioni della Miller sono di due tipi: la prima prettamente legale, infatti il Governo sostiene di non aver bisogno di un voto del Parlamento, per via della cosiddetta Royal prerogative, l'insieme di poteri un tempo esercitati dal monarca del Regno Unito e che ora competono all'esecutivo. Questa tesi è insostenibile, secondo la ricorrente, in una decisione storicamente importante come quella di portare il Regno Unito fuori dall'Unione Europea: se è vero che un governo, in forza della Royal Prerogative, può firmare un trattato internazionale, è anche vero che il Parlamento deve poi ratificarlo perché diventi legge nazionale. Secondo la ricorrente, inoltre, uscire dall'Ue senza consultare il Parlamento sarebbe una violazione dei diritti garantiti dall'Atto delle comunità europee del 1972 che ha incorporato la legislazione europea in quella del Regno Unito.

La seconda argomentazione sarebbe invece più politica: una delle motivazioni alla base del Leave stava proprio nel voler ripristinare la sovranità parlamentare, cosa che, secondo la donna, sarebbe inutile senza prima ascoltare l'opinione in materia del Parlamento. L'Alta Corte britannica il 3 novembre 2016 si è pronunciata a favore di Gina Miller e degli altri ricorrenti. Sebbene non sia scritta, la Costituzione britannica è una delle più rigide, ed il principio costituzionale che la regge è la sovranità parlamentare, e che la legge promulgata dalla Corona con consenso di entrambe le Camere, sia suprema.

Non esiste infatti alcuna normativa sovraordinata al Parlamento, a meno che quest'ultimo non lo consenta. Il Governo ha annunciato ricorso alla Corte Suprema, tribunale di ultima istanza del Paese che ha analizzato la questione tra il 7 e l'8 dicembre 2016 ma ha reso nota la sentenza il 24 gennaio 2017. Il ricorso del Governo è stato respinto con una maggioranza di otto a tre: la Brexit dovrà passare dal Parlamento, la Corte Suprema ha inoltre stabilito che non dovranno essere consultati i parlamenti scozzese irlandese e dell'Irlanda del Nord. La domanda che scuote il Paese è se la decisione della Corte Suprema, nel caso fosse la stessa dell'Alta Corte, potrà bloccare la Brexit. La risposta è no: potrebbe però influenzare i negoziati tra Regno Unito ed Unione Europea e quindi rallentarli. I deputati infatti non vogliono ignorare il voto di 17 milioni di concittadini. La conseguenza potrebbe però essere un recesso più “soft”: con questo termine si intenderebbe l'uscita dalle istituzioni ma con la possibilità di rimanere all'interno del mercato unico, così come concesso a Norvegia e Svizzera.

Al contrario, una “hard Brexit”, così come auspicata dai sostenitori del Leave, significherebbe abbandonare tutti i trattati e le istituzioni europee di cui il Regno Unito fa parte e l'uscita dal mercato unico.

Un terzo scenario è quello sostenuto da Theresa May: il “mild Brexit”, ovvero una completa indipendenza dall'Unione Europea mantenendo però contemporaneamente un accesso al mercato unico alle imprese britanniche. Soluzione però irrealizzabile: le istituzioni dell'Unione hanno più volte ribadito che non ci possa essere l'accesso al mercato unico laddove non ci sia una libera circolazione delle persone; questa decisione non può essere presa solo dal Regno Unito ma dovrebbe infatti essere discussa durante i negoziati. L'Economist ha definito l'obiettivo della May “impossibile da raggiungere”.

Un'altra sentenza è stata resa nota nell'ottobre 2016: un attivista dei diritti umani, Raymond McCord ha presentato un ricorso all'Alta Corte di Belfast contro la volontà di lanciare la procedura di uscita senza previa consultazione del Parlamento regionale nordirlandese.

In virtù della legge sull'Irlanda del Nord del 1998 e degli Accordi del Venerdì Santo, i nord-irlandesi sono sovrani in caso di revisione costituzionale, sostiene McCord. La sentenza dell'Alta Corte di Belfast è stata molto diversa da quella di Londra: ha respinto il ricorso sostenendo che i legislatori non hanno bisogno di alcun voto per iniziare il conto alla rovescia che porterà alla Brexit. Il Giudice Paul Maguire, nel leggere il verdetto, ha affermato che le implicazioni del recesso per l'Irlanda del Nord sono ancora incerte e che non si sa ancora come potrà essere gestita la situazione dei confini.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il recesso dai trattati internazionali tra diritto internazionale e diritto dell'Unione europea: il caso Brexit

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Informazioni tesi

  Autore: Irene Venturino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Scienze giuridiche
  Relatore: Simone Carrea
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 62

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