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Tra green economy e blue economy: analisi teorica ed empirica sulla diffusione del green marketing e delle pratiche “verdi” in generale

Le pratiche di greenwashing: il ruolo centrale della comunicazione

Per quanto detto fino a qui si può comprendere come il termine “greenwashing” abbia delle connotazioni negative. Tuttavia non tutte le attività che rientrano nella categoria in questione, intesa in senso ecologico, sono il frutto di comportamenti malevoli o atteggiamenti opportunistici e, anzi, spesso dipendono da una mancanza di know-how in materia di management ambientale. Per questo motivo la differenza tra green marketing e greenwashing è molto sottile e risulta a volte molto complicato riconoscere le pratiche dell’uno e dell’altro.

La distinzione tra i due fenomeni è resa ancora più difficile dal fatto che il greenwashing riguarda quasi esclusivamente la variabile comunicativa del marketing mix. Infatti il “lavaggio col verde” è una pratica che si realizza la maggior parte delle volte tramite attività di comunicazione (come la pubblicizzazione di donazioni e accordi con associazioni non profit), aventi come target sia il consumatore finale che un audience ben più ampio che comprende le istituzioni o gli opinion leader. Quindi, il fatto che un’azienda venga incriminata di greenwashing dipende dalla sua malintenzionata campagna di comunicazione e non da scelte erronee o fuorvianti in termini di price, placement o product.

La differenza che intercorre tra una campagna pubblicitaria sviluppata in ottica di green marketing e quella inserita in un progetto più riduttivo di greenwashing è che nel secondo caso vengono omessi precisi riferimenti all’attività specifica sviluppata in ottica “verde” dall’azienda e soprattutto mancano i dettagli necessari alla comprensione delle azioni concrete intraprese per renderla più sostenibile. Il greenwashing si materializza così in una comunicazione poco trasparente e scarsamente informativa che può presentare espressioni vaghe, immagini suggestive e affermazioni altisonanti sostenute da fondamenta poco solide, ma anche attraverso la magnificazione da parte dell’azienda delle caratteristiche “verdi” inesistenti dei propri prodotti.

A tal proposito, l’azienda di consulenza TerraChoice ha sviluppato una lista dei “The seven sins of greenwashing” con la quale classifica gli errori più spesso commessi dalle aziende nel tentativo di vendere i loro prodotti “verdi”. I sette “peccati” sono:
- Nascosto trade-off
- Mancanza di prove
- Vaghezza
- Irrilevanza
- Minor dei mali
- Falsità
- Adorazione di false etichette

Nel primo caso ci si riferisce al fatto che la campagna promozionale prevede l’impiego di affermazioni che ci fanno credere che il prodotto è “verde” in base ad un solo elemento che lo caratterizza, senza prestare attenzione ad altri aspetti che possono esser altrettanto importanti o anche più importanti. Si pensi a quei casi in cui si elogiano le caratteristiche ambientali della carta riciclata, senza dimostrare però le credenziali “verdi” del processo di trasformazione e di distribuzione, ovvero non considerandone emissioni di CO2, energia consumata, inquinamento dell’aria e dell’acqua e così via.
Nel caso di mancanza di prove si fa riferimento a quelle affermazioni che non possono esser provate in base alle informazioni fornite o a una certificazione riconosciuta da un ente terzo ma nemmeno possono esser tratte per esempio dal sito dell’azienda o ricevute dal servizio di customer care. Un tipico esempio è rappresentato da quelle pubblicità che suggeriscono che un certo tessuto è composto con parti riciclate e riutilizzate senza fornire alcuna prova di ciò.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Tra green economy e blue economy: analisi teorica ed empirica sulla diffusione del green marketing e delle pratiche “verdi” in generale

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Benedetti
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Lingue straniere per la comunicazione internazionale
  Corso: Relazioni commerciali internazionali
  Relatore: Fabio Cassia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 209

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