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La tutela del lavoro nel quadro dell'attuale sistema produttivo in Cina

Morire di lavoro

In Cina oggi vi sono centinaia di milioni di disoccupati, ma si può morire anche per il troppo lavoro.
Sono le due facce di una stessa medaglia, e ad esempio di ciò appare esemplare e straziante la storia di Li Chunmei, operaia cinese di 19 anni, raccontata dal Washington Post.
Una morte avvenuta nella fabbrica di giocattoli Bainan, a Songgang, nel periodo che precede il Natale, giorni in cui la domanda di giocattoli dagli Usa, dall’Europa e dal Giappone aumenta e le ore di lavoro in fabbrica si estendono a dismisura, fino a 16 al giorno per sette giorni di seguito. Erano passati circa due mesi in questo modo, fino a quando la resistenza di Chunmei si è spezzata. Alla sua famiglia la polizia consegnerà molti giorni dopo, e su pressanti insistenze, un surreale certificato medico nel quale si dichiara che Chunmei “è morta all’improvviso, mentre era viva, a causa di una malattia”, non meglio precisata, che l’ufficio del lavoro però attesterà non essere “collegata al lavoro”.
La giovane era una delle centinaia di milioni di migranti, che abbandonano le sempre più povere aree dell’interno per cercare lavoro nelle aree urbane di una costa sempre più ricca. Seconda di cinque figli di una famiglia contadina poverissima, veniva da Xiaoeshan, villaggio del Sichuan, dove un agricoltore non ricava più di 25 dollari l’anno dalla sua attività, ma se ne sente chiedere 37 in tasse: in queste circostanze, togliere i figli da scuola e mandarli a lavorare è per molti una scelta obbligata.
Li Chunmei aveva 15 anni quando sbarcò a Dongguan, città di 9 milioni di abitanti dei quali 7 milioni immigrati.
A Dongguan aveva cominciato il suo lavoro di staffetta alle catene di montaggio dei giocattoli: correre da un punto all’altro per portare i componenti alle varie fasi di lavorazione.
Una corsa in ambienti malsani e surriscaldati, che cominciava alle 8 del mattino, si fermava a mezzogiorno per 90 minuti, riprendeva fino alle 17,30; 30 minuti per la cena, e poi via agli straordinari fino a mezzanotte e oltre.
Per 12 centesimi di dollaro l’ora, che alla fine del mese potevano diventare 65 dollari. Ma poi c’erano le ritenute per la stanza, per il permesso di residenza, per le multe arbitrarie.
Le leggi cinesi vietano tutto questo, e secondo le normative della regione il salario minimo a Songgang è 30 centesimi l’ora, e gli straordinari non dovrebbero superare le 36 ore al mese.
Ma molti funzionari locali hanno “amici” manager delle imprese, chiudere gli occhi è ben remunerato, ed un migrante non ha diritti.
Due mesi prima di morire, Li Chunmei fu trasferita dalla casa madre nell’impianto della Bainan, dove le condizioni peggiorarono ulteriormente. Meno di una settimana prima di morire di fatica, chiese una tregua di un giorno: le fu negata, e quando se la prese lo stesso fu punita con tre giorni di trattenute su una paga che da due mesi non le davano.
Il padre della giovane, che cercava di capire, si è trovato davanti solo porte chiuse.
Alla Kaiming Industrial (che prende le ordinazioni dei clienti occidentali) gli hanno risposto che sua figlia non lavorava per loro, dunque il problema non li riguardava.
I direttori di Bainan hanno rifiutato di incontrarlo, ma è indicativo che le spese del funerale gli sono state pagate dalla società, come per una tacita ammissione di colpevolezza.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La tutela del lavoro nel quadro dell'attuale sistema produttivo in Cina

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Informazioni tesi

  Autore: Roberto Tosti
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo
  Relatore: Fabio Fatichenti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 178

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