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Carlo Ginzburg: una biografia intellettuale

Recensione di John Martin

Nel 1992 il professore della Trinity University John Jeffries Martin pubblicò un’interessante recensione, la quale analizzava I Benandanti, Il Formaggio e i Vermi, e Storia Notturna, quest’ultima, secondo lui, doveva essere letta in accompagnamento a Miti, Emblemi, e Spie (entrambi costituiscono per lui “his most challanging texts yet”).
Partiva anch’egli dalla sottolineatura della diffusione degli studi sulla persecuzione, rispetto alla novità rappresentata dallo storico, il quale come si è ben visto preferiva atteggiamento e credenze degli imputati. Trattando dell’opera dedicata a Menocchio citava la critica della Zambelli, “the most significant critique”; Ginzburg non volle però ritrattare, e nella prefazione all’edizione inglese del 1980 aggiunse It’s legitimate to object that the hypothesis that traces Menocchio’s ideas abouts cosmos to a remote oral tradition is also unproven – and perhaps destined to remain so…even if, as I stated above, I intend in the future to demonstrate its possibility with additional evidence.

Il risultato di tale sforzo di dimostrazione fu proprio Storia Notturna. (Qui, egli ricordava, gli aspetti operativi del metodo utilizzato derivavano dagli studi del formalista Vladimir Propp la cui opera sulla fiaba russa rivoluzionò lo studio del folklore). Dopo aver presentato in breve la prima e seconda parte, comprese le varie declinazioni locali del fenomeno dei Benandanti, le cui caratteristiche salienti, come si è visto, erano presenti in vari gruppi, affermava, “It is from this framework that Ginzburg makes a case for the shamanistic elements of this belief system”.
Martin allora rifletteva su questo collegamento, che ebbe origine già con Mircea Eliade (Some Observations on European Witchcraft); “from the Altai, to the Arctic, that is, shamanism was as much as a part of the ritual as it was of popular mythology”.
In Europa centrale e occidentale, tali credenze appartenevano alla mitologia popolare, la componente rituale era pressoché assente, erano esperienze personali. Nonostante questo, le somiglianze erano sorprendenti. Era legittimo, comunque, discutere la sua scelta, basata sulla distinzione di Eliade tra sciamanesimo e “spirit possession”, di escludere l’America, e in particolare l’Africa dall’analisi.
Lo storico italiano dichiarava che lo sciamano era maestro sugli spiriti, una persona posseduta era “in the power of the spirits and is mastered by them”. Martin riportava qui però che diverse autorità ritenevano tale separazione artificiale, “spirit possession and the domination of the spirits by a shaman are merely two aspects of the same underlying phenomenon”. Di conseguenza, a livello antropologico, lo studio di Ginzburg già di ampio respiro rispetto gli studi storici, avrebbe potuto non esserlo abbastanza, “given the global (or nearly so) evidence of shamanistic beliefs and practices”.
Egli poi percorreva la strada seguita dallo storico nel tentativo di giungere ad una spiegazione alla “family resemblances in the study of mythologies and folktales”; “Ossa e pelli” era il paragrafo in cui egli risolveva la questione delle somiglianze formali, sviluppando una spiegazione strutturalista (storica) personale. Respingendo lo strutturalismo di Lévi-Strauss, la sua teoria “is based on the particolar ways in which the human species experiences the body and represents the body to itself”; data la natura universale della nostra costituzione biologica come specie, era altamente probabile che nelle diverse culture l’esperienza del corpo fosse simile.
Seguendo questa via, come poi nella “conclusione”, però, il lettore veniva allontanato dal cuore centrale del testo. Non significava questo, negare l’eloquenza e l’umanità delle conclusioni del libro, che mettevano in collegamento, a livello più profondo, la narrazione dell’autore alle storie narrate da sciamani e Benandanti. Ginzburg notava “to tell a story means to speak here and with an authority that is derived from having been (literally or metaphorically) there and then”; storici, poeti, romanzieri, tutti attingevano alla stessa struttura mitica di autorità come faceva lo sciamano. “The effort to know the past is also a journey to the world of the dead”. L’argomentazione centrale del testo, che tradizioni e credenze popolari avessero giocato un ruolo determinato nel modellare l’immagine del sabba, era, secondo Martin, ben ragionata e avvincente. Era comune poi che le sue tematiche avessero sollevato domande e dubbi “about the relative autonomy of popular culture, about the relationship of structures to events, and about the relationship of history to myth”.
Ginzburg si era interessato molto alla dimostrazione della prima questione, ma purtroppo poche informazioni ci erano presentate su contesti sociali e culturali di tali credenze, poco si veniva a sapere sui possibili mediatori culturali, sia sulla letteratura orale, che su racconti magici, favole e poesia epica. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Carlo Ginzburg: una biografia intellettuale

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Informazioni tesi

  Autore: Elisa Giovinazzo
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Storia
  Relatore: Federico Barbierato
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 263

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