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Il creolo: aspetti descrittivi e teorie sulla genesi di una lingua di contatto

Teoria del baby-talk e del foreigner talk

Il baby talk, in italiano "maternese" o "madrese", è la varietà linguistica con cui gli adulti si rivolgono ai bambini. La sua principale componente è la semplicità espressiva finalizzata allo scopo di apprendere il nuovo codice linguistico. Secondo questa teoria, i parlanti nativi usano un sistema morfologico e sintattico ridotto per rendersi maggiormente comprensibili a coloro che stanno apprendendo la nuova lingua. Hugo Schuchardt fu tra i primi a considerare la struttura tipica di una lingua di contatto come il risultato di un processo di semplificazione linguistica, ma diversamente dalla posizione di A.F. Coelho (e senza negare l’importanza delle leggi psicologiche intraviste dallo studioso portoghese), era convinto che il processo di semplificazione che dà origine al creolo fosse svolto non dalle popolazioni indigene, bensì dagli Europei nel momento in cui si rivolgevano ai primi, con lo scopo di rendere la comunicazione il più efficace possibile.

Tale processo di semplificazione, di fatto, porterebbe all’emergere di una (auto)consapevolezza delle strutture essenziali della propria lingua da parte del parlante europeo, che conseguentemente selezionerebbe quelle percepite come più salienti per poter comunicare più facilmente con i locali. In chiave generativista, si potrebbe dire che questo processo di autosemplificazione farebbe emergere la ‘struttura profonda’ e innata, la competence (da qui le molte somiglianze tra le lingue di contatto sparse nel mondo).
L’origine di una lingua di contatto, dunque, è cosu un fenomeno collegato all’acquisizione di una seconda lingua. In questo senso, esso ha caratteristiche simili ad un baby-talk. Infatti, oltre alla riduzione del sistema lessicale e sintattico, li accomuna il contesto di nascita. Come affermano Hock e Joseph:

“Speakers find themselves in a situation […] where they are forced to communicate with others whose language they do not understand and who do
not understand their language”.


Tuttavia, è necessario sottolineare che i pidgin hanno anche qualche caratteristica morfologicamente complessa, il che sarebbe un elemento contrario a questa teoria. Lo strutturalista statunitense Leonard Bloomfield (1887-1949) in “Language” (New York, 1933) definì il baby-talk “the masters’ imitation of the subjects’ incorrect speech […] some of its features are based on upon the subjects’ mistakes but upon grammatical relations that exist within the upper language itself”. In seguito, i sostenitori di questa ipotesi, individuarono nel foreigner-talk una possibile fonte per i pidgin. A tal proposito si parla anche di "riduzione", "ristrutturazione".

“Foreigner talk is the conscious simplification of the one’s own language spoken with foreigners who are believed not to understand the full, ‘mature’ version of the language”.

Il foreigner-talk è considerato il risultato di quattro processi: adattamento, imitazione, condensazione telegrafica, adozione di convenzioni.
La prima fase consiste appunto nell’adattarsi alla competenza dei parlanti non nativi attraverso l’impiego di frasi brevi e semplici, di un ritmo lento e di termini generali.
Nella fase successiva il parlante tende ad imitare, in diversi modi, la parlata del suo interlocutore non nativo, per esempio attraverso la ripresa di alcuni termini. La terza fase vede l’eliminazione di parole con la funzione di articoli, ausiliari e copule che potrebbero confondere l’interlocutore. Nell’ultima fase, infine, il parlante adotta varie convenzioni. Spesso, per esempio, sono usate caratteristiche tipiche di un pidgin come l’uso di voci straniere o di pronomi forti.

Oltre a questi processi, i parlanti ricorrono sovente a diverse strategie come la ripetizione, il parlare a voce alta ed il ricorso a mezzi paralinguistici come i gesti. Inoltre, riguardo all’importanza del foreigner-talk, Mühlhäusler precisa che essa è limitata soprattutto alle prime fasi della formazione di un pidgin. Volker Hinnenkamp ritiene che essa non possa essere considerata un modello che ricorra costantemente nell’apprendimento di una seconda lingua poiché troppo imprevedibile:

“inconsistency and high variability of FT use does not allow for model simplification to play a decisive role as an input source for the target language learner […] Simplifications do of course occur. [But] although the ability of a native speakers to simply her or his native language is an indisputable fact, model simplification as such s not a sufficient condition for the inception of pidginization”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il creolo: aspetti descrittivi e teorie sulla genesi di una lingua di contatto

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Informazioni tesi

  Autore: Valentina Di Silvestro
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Laura Biondi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 131

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