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Olocausto - Hate crimes: un continuum dell’intolleranza?

Testimonianze di Heinz Heger

Heinz Heger, pseudonimo di Josef Kohout, nacque a Vienna nel 1917 da una famiglia cattolica: il padre era un alto funzionario ministeriale e la madre era una donna molto affettuosa e premurosa nei confronti del figlio. Infatti, quando Heger decise di dichiararle le proprie inclinazioni sessuali, pur tenendole nascoste al padre, ella rispose nonostante la rigida morale austriaca del tempo [...].
Nel periodo dell'annessione austriaca da parte della Germania avvenuta nel 1938, con la quale l'Austria divenne parte del Reich tedesco, Heger era studente universitario a Vienna. Nonostante non si interessasse alla politica, nel marzo 1939, venne convocato dalla Gestapo in seguito ad una fotografia inviata incautamente all’amante Fred, la quale riportava sul retro la sua promessa d’amore per il suo amico, figlio di un gerarca nazista.

In applicazione del paragrafo 175, Heger venne arrestato e condannato a sei mesi di carcere, come "degenerato"; il padre, in seguito allo scandalo, perse il lavoro e, disperato, si suicidò lasciando una lettera per la famiglia.
Il suo amato Fred riuscì invece, probabilmente a causa dell'influenza del padre, ad essere prosciolto in quanto il procedimento nei suoi confronti fu sospeso “per incapacità di intendere e di volere”.
Dopo aver scontato la pena prevista, Heger, su ordine dell' Ufficio Centrale per la sicurezza del Reich, non venne liberato, ma deportato presso il campo di concentramento di Sachsenhausen, dove fu obbligato ad indossare la casacca da internato con il marchio distintivo dei deportati omosessuali, il triangolo rosa. Qui Heger e gli altri 180 deportati gay non potevano avere contatti con nessun altro prigioniero per il timore che potessero "sedurlo". I lavori più duri e inutili venivano assegnati agli omosessuali per "rieducarli attraverso il lavoro": d'inverno erano obbligati a spazzare la neve con le mani accumulandola di lato, per poi ricevere ordine di spostarla da un'altra parte, nonostante fossero disponibili gli attrezzi per eseguire il lavoro.

Heger riuscì a scampare in parte ai lavori più duri, e quindi a sopravvivere, diventando l'amante di un Kapò, prigioniero come lui ma messo a capo di un gruppo di detenuti. Egli considerò questo un rapporto puramente utilitarista83 per entrambi le parti, lo visse come una chance che, pur degradandolo umanamente, gli avrebbe salvato la vita.
Nel maggio 1940 Heger fu trasferito presso il campo di concentramento di Flossenbürg, in Baviera, dove subì nuovamente un durissimo regime carcerario e il disprezzo delle SS e degli altri internati, ma dove riuscì comunque a sopravvivere grazie alle numerose "amicizie" con i Kapò, e forse anche con una SS omosessuale, che gli risparmiarono una morte quasi certa. Nei lager, infatti, l'omosessualità, pur duramente osteggiata, era clandestinamente praticata, soprattutto dai delinquenti comuni che ricoprivano posizioni di comando all'interno della gerarchia degli internati.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Olocausto - Hate crimes: un continuum dell’intolleranza?

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Informazioni tesi

  Autore: Silvia Cesario
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Raffaella Sette
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 65

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Parole chiave

nazismo
olocausto
discriminazione sessuale
omofobia
omosessuale
persecuzioni
intolleranza omosessuale
crimini odio
hate crimes
guarigione omosessualità

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