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Un cinema popolare e civile: L'Onorevole Angelina

Tra femminismo e tradizione

Come già detto, L’onorevole Angelina venne messo all’indice dalla maggior parte dei critici di quegli anni. Mario Gromo ne parlava come di un film grossolano e sbrigativo, d’un popolaresco assai sommario ; Guido Aristarco scriveva:

Zampa — e questo conferma i suoi limiti — preferisce la storiella più o meno patetica o comica e scherza con la miseria: la quale non ha bisogno né de L’onorevole Angelina né delle risate di un pubblico in pelliccia.

Per lo più le critiche arrivarono a causa del finale del film, ove tradizionalmente si è visto una strategia normalizzante, in cui Angelina rinuncia alla carriera politica che le si prospetterebbe e rientra nei ranghi della famiglia.
Una parte del pubblico poteva vedervi sicuramente un rassicurante ritorno all’ordine dopo una situazione di caos, sia pure giustificata dall’emergenza. La ribellione di Angelina e delle altre donne crea un mondo alla rovescia in cui a prendere l’iniziativa sono le donne, in assenza di maschi e mariti capaci di far fronte alla situazione. Ma questa repubblica delle donne, sia pur giustificata dalla gravità della situazione, è contingente, e si auto-scioglie una volta risolti i problemi.

È lo stesso Zampa a rispondere a tale critiche in un’intervista:

Mi hanno accusato di avere un finale conformista, lo so. Ma noi ci siamo attenuti alla realtà, forse sbagliando. Questa donna, la vera Angelina, volevano portarla in parlamento e invece lei fece un discorso e disse: “Io so appena leggere e scrivere, finché c’è stato da battersi per ottenere il pane che non ci davano o da occupare i fabbricati l’ho fatto perché sapevo farlo, ma non posso andare in parlamento, io che so a malapena legge e scrive; date questo posto a qualcuno più preparato di me, che abbia una cultura”. Nel film noi abbiamo tenuto questa conclusione che ci era sembrata giusta. Gli altri avrebbero voluto che l’onorevole Angelina avvolta in un panno rosso marciasse contro tutte le barriere. Ma a me, che sono comunista e ho sempre votato Pci, sembrava un finale retorico.

Allo stesso modo, nel film, dopo aver rinunciato alla sua candidatura davanti alla folla che l’applaude, nella caserma dei carabinieri Angelina pronuncia alla presenza del marito, dei figli e del maresciallo, parole che sembrano una riconsegna del potere alle autorità tradizionali: «Ho fatto un bel discorso e me ‘so dimissionata. Voglio esse solo la sora Angelina. […] A ragazzì, tu t’eri scordato di portà rispetto a tuo padre. Ce n’eravamo scordati tutti. E mo’ ce o dovemo ricordà».

Subito dopo, però, rivolgendosi al marito lo zittisce: «Tu mejo che te stai zitto perché ste cose me le sbrigo da me». Angelina, quindi, ostenta di riconoscere l’autorità del marito ma nella pratica mostra subito che vuole conservare la propria indipendenza. Ancora di più, le intenzioni di emancipazione della donna si evincono dal finale, dall’ultimo scambio di battute tra i due coniugi. Angelina e Pasquale, a letto, stanno parlando delle difficoltà di trovare il latte, Pasquale pensa di chiedere un anticipo e Angelina sbotta: «Non te preoccupà, al lattaio ce penso io. Domani vado da quel disgraziato e je pianto una di quelle baccaiate…».

Angelina minaccia, promette o semplicemente lascia intuire che il giorno dopo ricomincerà la stessa storia, che non starà al suo posto, quello destinatole dalla società tradizionale, cattolica e patriarcale. Lo sguardo con cui Angelina ribatte l’occhiata fulminante del marito è fintamente sottomesso, ma in realtà furbo e malizioso: ancora una volta ha fatto capire una cosa senza averla detta chiaramente.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Un cinema popolare e civile: L'Onorevole Angelina

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Informazioni tesi

  Autore: Vincenzina Ricciardi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Stefania Parigi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 88

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