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Il contratto sociale in Thomas Hobbes: analisi dei testi e riletture storiografiche

Uomo e contratto sociale nel Leviathan

Il Leviathan è considerato il capolavoro di Hobbes e deve innegabilmente la sua fortuna letteraria alla carica suggestiva racchiusa nel titolo evocante il mito di un serpente marino di biblica creazione.
Non solo: oltre alla mera intitolazione, è il contenuto dell’opera ad incarnare un significativo interesse per un approccio al pensiero più maturo del suo autore. Alla stregua di quanto si è potuto in precedenza affermare a proposito del De Cive, anche il Leviathan è figlio del tempo in cui è stato elaborato e pubblicato: trattasi degli anni compresi tra il 1648 e il 1651, all’indomani della Pace di Westfalia e contemporaneamente (da intendersi per la data di pubblicazione) al ritorno in patria di Hobbes dall’esilio francese.

Sono quindi nuovamente le vicende che sconvolgono l’Europa e l’Inghilterra di metà XVII secolo a far da teatro allo sviluppo delle idee hobbesiane, che nel Leviathan si traducono e sublimano in una teoria assolutistica non più sovrapponibile empiricamente all’amministrazione del potere della monarchia Stuart bensì alla dittatura militare (celata sotto l’egida di un formale governo repubblicano) di Oliver Cromwell.

Diversamente però rispetto ai precedenti Elements of Law, Natural and Politic e rispetto al De Cive, Hobbes supera gli schematismi, le rigidità e le incertezze che ne avevano contraddistinto il modus operandi (ormai “sgrezzato” dall’esperienza intellettuale e i lunghi viaggi), riuscendo a fondare una teoria politica logica e coerente, oltre che innegabilmente innovativa e moderna.

Per far ciò, peculiarmente nelle parti Prima (“Dell’uomo”) e Seconda (“Dello Stato”) analizza l’individuo, il diritto, lo stato di natura, il contratto e la sovranità statuale (ossia i concetti cardine della suddetta teoria) con un realismo e con un disincanto tali da introdurre una vera e propria riforma in materia: il “problema” politico non è caratterizzato, come pensavano molti giusnaturalisti, da uno scontro tra individui che nello stato di natura destabilizzano un ordine giusto precostituito, quanto dal fatto che quest’ultimo non esista e al suo posto sia un dominio di disordine e caos.

E’ necessario quindi un radicale cambiamento (che i più definirebbero col termine di “rivoluzione”) che introduca un ordine di tipo artificiale e, per questo, suscettibile di ulteriori modifiche nonché perennemente a rischio di collasso; il cambiamento è sul piano astratto e sul piano concreto incarnato dal Leviatano, nel primo caso inteso come mostro (o come si vedrà infra, dio mortale) e nel secondo inteso come il trattato, volto ad una vera e propria impresa di formattazione della storia e relativo reset della società. Infatti, e giova ricordarlo sin dall’inizio di questa analisi, il Leviathan è anche simbolo della lotta di Hobbes contro le istanze rivoluzionarie del suo tempo e ritenute, come nel De Cive, foriere di disordine e perciò empiricamente paragonabili allo stato di natura.

Si valuti un paragone tra le pretese dei Diggers e dei Levellers, movimenti dissenzienti inglesi di quel tempo, in lotta contro l’abolizione dei privilegi, e l’idea tutta hobbesiana della naturale uguaglianza degli uomini: solo apparentemente le due posizioni paiono accomunabili, poiché Hobbes eleva l’uguaglianza a causa della necessarietà dello Stato, il quale elimina i privilegi di nascita ma d’altra parte tutela le disuguaglianze sociali e la proprietà privata purché non integrino un pericolo per lo stesso.

Volendo riassumere il pensiero contenuto nell’opera de qua non ci si può che riferire alle parole di Carlo Galli, il quale nell’introduzione alla stessa afferma come per Hobbes “l’intera struttura di una ordinata vita associata è resa
possibile solo dalla politica, e non dalla morale tradizionale, né dalle teologie, e neppure dalla nascente economia. Da una politica assoluta e autonoma, scientificamente atteggiata, che ha in sé la forza di lasciarsi investire dalle questioni e dalle ragioni della morale e della teologia, e di reinterpretarle, che le assume in sé, che non se ne lascia fondare”
. In questo senso la teoria politica è l’unico instrumentum in grado di portare stabilità ed equilibrio in vece di sregolatezza e confusione, a patto che (come da consuetudine hobbesiana) sia elaborata in modo razionale, con metodo scientifico e sia volta all’assolutezza.

Per completezza si evidenzia come i periodi poco sopra citati facciano riferimento altresì alla materia della teologia politica, alla quale non a caso sono dedicate integralmente la Parte Terza (“Di uno Stato Cristiano”) e la Parte Quarta (“Del Regno delle Tenebre”) del Leviathan. Queste stesse rappresentano una delle maggiori differenze intercorrenti tra Leviathan e De Cive, e denotano come Hobbes ritenga che lo Stato possa ben contenere al fianco della materia politica anche gli elementi della morale e della religione, e che, però, esso debba nascere ed ergersi senza esserne l’influenzato (“nondimeno, non dobbiamo rinunciare ai nostri sensi e all’esperienza né alla nostra ragione naturale”) Egli arriva così a negare ogni autorevolezza politica della Chiesa affermando l’egemonia e l’assolutismo del potere dello Stato.

In seconda battuta, da un’analisi più contenutistica, si evince come le suddette parti costituiscano una vera e propria “sezione storica” dell’opera, essendo ancora chiaro intento dell’autore esporre il modello politico prendendo in considerazione due dei grandi problemi della sua epoca: le guerre civili di religione e la materia teologica, l’uno conseguenza dell’altro (come noto, l’interpretazione non univoca della relazione tra cielo e terra è da sempre portatrice di conflitti). Da qui, e difformemente dal De Cive, è evidente come la teologia abbia avuto un’assoluta rilevanza nella formazione del Leviathan e come Hobbes abbia manipolato a sua foggia la materia e le relative concezioni del tempo per giustificare la totale supremazia del potere laico sulla religione, con la conseguente cancellazione di quest’ultima dal piano politico e scientifico.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il contratto sociale in Thomas Hobbes: analisi dei testi e riletture storiografiche

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Informazioni tesi

  Autore: Matteo Molari
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Brescia
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Corso Magistrale a Ciclo Unico
  Relatore: Aldo Andrea Cassi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 148

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