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I media, la filosofia, l'arte. Con un'appendice sulla musica.

Vedere le cose in prospettiva: la scrittura e la stampa

Ancora, mi pare plausibile trattare assieme scrittura e stampa: esse propongono caratteristiche artistiche affini, seppure di diversa intensità. Una di queste è sicuramente la maggiore precisione che il linguaggio scritto ottiene rispetto a quello orale. Come abbiamo visto, la narrativa orale è una narrativa che fa un altissimo utilizzo delle formule, dei proverbi e delle frasi fatte. Inoltre il materiale della narrativa orale non è sottoposto ad un’organizzazione rigorosa, ma risente dell’influsso della “performance” in cui viene espresso.
Al contrario, la letteratura – cioè il materiale letterario – viene sottoposta a una revisione e ad una organizzazione continua: le parole vengono scelte con cura, con precisione, secondo il criterio della chiarezza. Con la scrittura le parole possono essere cancellate, corrette o sostituite. Non più la memoria si basa sulle formule e sul ritmo: con la scrittura la memoria si deposita nei dizionari e nei manuali, creando nuovi codici linguistici molto complessi ed elaborati. La ricchezza lessicale dei dizionari non è un “eccesso” ontologico: una varietà maggiore, giungendo facilmente alla conoscenza delle persone, influenza la capacità descrittiva/narrativa di esse. In tal modo è impensabile che il romanzo moderno si potesse sviluppare senza la stampa e la sua circolazione.
A questo proposito Ong parla dell’illusione che la techné rethoriké esercitò sulla prima era della scrittura: il “parlare bene in pubblico”, scrive, in realtà aveva meno a che fare con il parlare, e più con lo scrivere. I trattati di retorica come quello di Aristotele, infatti, erano delle modellizzazioni dell’oratoria sulla base chirografica, poiché essi proponevano un’abilità di analisi del discorso che non è possibile da raggiungere oralmente – a meno che non si impari a memoria un testo scritto – ma solo chirograficamente.
La retorica poi influenzò in maniera decisiva la scrittura almeno fino al ‘700, proponendo uno stile forbito, magniloquente e vistoso. La rottura si ebbe quando anche le donne – che provenivano da un universo culturale volto alla praticità e alla concretezza quotidiana – ebbero accesso alla cultura accademica. I libri che avevano maggiore diffusione fino a quel tempo erano infatti quelli di edificazione, su cui la ragazza borghese compiva la propria educazione. Hauser, con la personale attenzione alla dimensione sociale, rileva che il gusto per l’oratoria era una tradizione classicheggiante propria dell’aristocrazia, mentre la borghesia – le donne borghesi – ricercava un tipo di letteratura amena, futile, chiara nel linguaggio.
La stampa, con un grado sufficiente di familiarità, non solo consentì di controllare la scelta delle parole, ma anche la disposizione spaziale di esse. Il blank verse è un fatto tipografico: secondo McLuhan fu adottato in relazione all’uso del volgare nei testi tipografici, poiché questi richiedevano, con la “nuova” lingua, un tipo di poesia veloce, non pomposa e standardizzata come la poesia rimata. E’ facile poi notare, come scrive Ong, un legame con la nascita della poesia contemporanea come quella di Mallarmé, o di E.E. Cummings, in cui la velocità è data dalla pura disposizione delle parole nella pagina a stampa; quasi a voler annientare o sopraffare la parte sonora.
Ma il genere che di più ha risentito del passaggio dall’oralità alla scrittura e alla stampa è stato sicuramente la narrativa. La narrativa, intesa come diegesis aristotelica, è una pratica comune a tutte le società, da quelle orali a quelle contemporanee. A tutte sembra naturale raccontare l’esperienza nel flusso del tempo, cioè in una forma diegetica. Ma solo con la stampa nacque l’idea della “prosa”: prima la diegesi era in versi, e il fatto della letteratura era un “gioco” da recitare, più che un’arte. Senza la stampa l’ordine cronologico degli eventi era difficile da gestire, e con essa questo diventa una sorta di elencazione. Fino al romanzo poliziesco, infatti, la narrazione era organizzata ad episodi, come nel romanzo picaresco. Inoltre solo la cultura chirografica e soprattutto quella tipografica costruiscono la diegesi con una trama lineare e con un climax, cioè secondo la famosa piramide di Freytag. Nel romanzo c’è una tensione crescente fino al climax in cui viene sciolta e l’azione viene ribaltata.
La scrittura in più favorisce l’emergere della coscienza dall’inconscio, in virtù dell’oggettivarsi della parola che si presta come un altro-da-sé alla coscienza. La scrittura “allarga” la coscienza. La scrittura, e ancora di più la stampa danno forma al coscienzialismo di ci parlavo al cap. 2.1.
I personaggi della narrativa scritta sono “a tutto tondo”, perché “hanno in sé l’incalcolabilità della vita”. Non è più il tipo della narrativa orale: il personaggio chiro-tipografico fa emergere più lati e sfaccettature del proprio carattere. Ha motivazioni psicologiche complesse e la possibilità di cambiarle nel corso della narrazione. Questo, secondo Ong, ha avuto ricadute anche nel modello della coscienza proprio della psicanalisi, complessa, olistica e stratificata, arena di conflitti irrisolti tra le sue diverse parti.
Appare chiaro, nella descrizione psicologicamente complessa, e nella psicanalisi, come sia centrale il ruolo dell’osservatore, che separa e analizza i singoli lati del carattere umano. Ci vuole un certo grado di distanza per potere osservare bene; questo grado fu garantito proprio dalla scrittura, che ha allontanato l’uomo dall’oggetto cui si sentiva audio/tattilmente connesso, perché l’orientò verso un modo di percezione visiva.
La predominanza del visivo nel sensorio, scrive McLuhan, assicurò la costruzione dello spazio pittorico in prospettiva, cioè in tre dimensioni. La parola, per la cultura orale, era l’oggetto; per la civiltà alfabetica diventa una sua rappresentazione. La rappresentazione verbale chirografica e tipografica deve aderire o adeguarsi alle cose. Ecco perché McLuhan scrive:
"Ciò che è essenziale per capire questo processo, tuttavia, è che la mimesi, nel senso di Platone (ma non di Aristotele) è la conseguenza necessaria della separazione e isolamento della forma visiva dalla sua normale fusione nell’intreccio audio-tattile dei sensi."
Separazione ed isolamento della forma visiva nella storia culturale dell’uomo si sono manifestate come il punto di vista fisso. E’ il punto di vista fisso del lettore, che può distanziarsi dal testo, riprendere in mano passaggi difficili di esso, cercare di analizzarlo come un entomologo. L’oralità non lascia spazio e tempo, spesso, all’analisi accurata del processo verbale. Ora, con la scrittura, ma soprattutto la tipografia, le cose si guardano da una prospettiva da cui appaiono uniformi. Il manoscritto era ancora pensato come “da vocalizzare” perché potesse raggiungere quest’effetto.
"E’ necessario, per comprendere il “decollo” visivo che si sarebbe verificato grazie alla tecnologia di Gutenberg, rendersi conto che esso non sarebbe stato possibile durante le varie epoche della cultura manoscritta, poiché tale cultura conserva le forme audio-tattili della sensibilità umana in misura incompatibile con la visività astratta, vale a dire con la traduzione di tutti i sensi nel linguaggio dello spazio pittorico unificato e continuo."
La stampa dal canto suo impone una lettura cinematica, “ad inquadrature” statiche. L’atto del leggere si accelerò con la tipografia, poiché i caratteri erano chiari ed uniformi. Maggiore velocità di lettura, assieme alle dimensioni contenute e tascabili del libro, portarono alla lettura individuale, silenziosa e solitaria. Parallelamente anche la pittura adottò una grammatica uniforme, ripetibile e lineare, dal punto di vista fisso, prospettico. La prospettiva, nella letteratura o nella pittura, è ciò che corrisponde artisticamente all’individualismo sociale proprio dalla borghesia. Ed ha prodotto l’idea che il libro è l’espressione privata di un sé. La tipografia sta alla base del copyright: la parola, oggettivata tramite un processo produttivo ripetibile e ripetitivo, necessitò una tutela dalla copia per non minacciare l’identità individuale dell’autore.
Anche perché il libro stampato è l’antenato, nemmeno molto distante, del mass medium, ed ha offerto la possibilità di avere un pubblico per il proprio prodotto. Che il libro sia un mass medium è ancora oggi evidente per i best-seller. La stampa richiese una legge di paternità per i propri prodotti, poiché il processo tipografico diffuse la concezione della fissità e della completezza dell’opera-libro; con il manoscritto si poteva sempre correggere o aggiungere una parte di testo. Lo scrittore smise di essere un amanuense e divenne un autore. Da un processo “artigianale” e manuale allo scrittore vennero accreditate doti intellettuali. Con il manoscritto la materia della scrittura era ancora fortemente orale, molto eterogenea per quanto riguarda lo stile, la grammatica, il tono. La stampa, che fornì il punto di vista fisso, stabilizzò e unificò anche lo stile dell’autore come espressione peculiare del proprio sé. E all’autore sembrò, attraverso la ripetizione tipografica, di poter raggiungere l’immortalità.
Proprio queste credenze hanno dominato nel campo artistico sino ai mass media, ai media elettronici o dello spettacolo che vedremo nel prossimo capitolo. Espressione privata di sé, autorialità, individualismo e ricerca dell’immortalità grazie alla propria opera, è la costellazione attorno a cui si è sviluppata l’arte borghese, le cui peculiarità sono il genio creatore, l’autonomia del campo artistico (cioè l’intellettualismo fine a sé stesso), e l’assenza di pubblico (quantomeno di massa).

Questo brano è tratto dalla tesi:

I media, la filosofia, l'arte. Con un'appendice sulla musica.

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Informazioni tesi

  Autore: Gianni Zen
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica
  Relatore: Daniele Goldoni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 159

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